“La Vittoria” di Carlo Picchiotti

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TEATROVID-19 Il teatro ai tempi del Corona (finalmente con il 100% della capienza delle sale)

Teatro le Salette
regia di Marzia Verdecchi, aiuto regia Valeria Scorza. Con Ester Alfonsi, Valerio De Angelis e Giovanna Cappuccio

Si può ridere della guerra? Forse del suo lato tragico proprio no, ma di alcuni episodi che nascono durante questo assurdo periodo è possibile e Carlo Picchiotti ce lo dimostra. Forse è proprio necessario farlo, per trovare in questa follia un briciolo di umanità altrimenti perduta. Con un sapiente tocco di ironia, Carlo trova delicatamente il modo di farci ridere sopra.

Siamo sul Piave nel 1918, dopo la sconfitta di Caporetto. Un soldato incontra due ragazze, due prostitute di un bordello di Stato, una sorta di missionarie; importanti per alleviare le pene dei giovani soldati e fargli dimenticare, almeno per un po’, l’orrore delle trincee. L’incontro avviene per caso, durante la libera uscita delle due donne che incrociano il soldato che invece è in missione segreta. Carlo Picchiotti ne fa, con il suo gusto e tocco personale, un racconto a cavallo fra dramma e ironia, anzi l’ironia incornicia elegantemente il dramma rendendolo gradevole. Ci si dimentica del conflitto, che appare sporadicamente. Quando arriva, però, violentemente strappa quella flebile armonia che pervade il teatro, ma che i nostri sapientemente e continuamente ricuciono, riportandoci ad una realtà più leggera, più brillante, accettabile. Un altalenare bilanciato tra vita e felicità e tra paura e dramma, due poli opposti che pongono al centro di questo scontro il pubblico, che assiste a scambi emozionali repentini, come un arbitro di tennis segue l’intermittente percorso della pallina.

Una storia che può essere vera, che strappa il velo della tristezza e del dolore e mette in primo piano i sentimenti umani che sfociano in un rapporto vero tra i tre personaggi, un rapporto che li protegge dalla guerra e che li nasconde, seppur per poco, da questo dramma. Loro fanno progetti per il futuro insieme, che poi crollano inesorabilmente come castelli di carta al solo percepire l’avvicinarsi del nemico, riportandoli alla cruda realtà. Poi, di nuovo insieme nonostante le loro profonde diversità, come fossero un’ unica mano, ricostruiscono quel castello, ancora di salvezza e speranza, per rifugiarcisi dentro.

La guerra è di contorno, se ne sente un vago odore, un rimbombo lontano, solo a tratti violentemente irrompe, rompendo l’incanto fra i tre. In primo piano c’è però sempre l’umanità di semplici persone in balia degli eventi, con le loro realtà, i loro drammi, il loro passato, ma sempre con tanta ironia… Dunque un romano, una veneta ed una napoletana (sembra il prologo di una barzelletta), si trovano in un ambiente ricreato sul palco davvero suggestivo, dove macerie e calcinacci sparsi ricreano un ambiente bellico. Appare un bersagliere romanaccio, di quelli veraci che ricorda, con il suo idioma romanesco che ormai non si sente più, quello dei nostri nonni. È in compagnia di due simpatiche prostitute, una veneta e l’altra napoletana. Due vittime di guerra che si sono ritrovate, per sopravvivere, a fare “la vita”. I costumi azzeccati delle donne, con tanto di capigliatura e cappellino dell’epoca, come anche la divisa e l’elmetto dell’uomo, ricreano efficacemente l’idea del periodo rappresentato.

Un plauso va a Valerio che, mi confessa a fine spettacolo, si è procurato la divisa in un mercatino dell’usato in tempi non sospetti, quando pensò, nel trovarli, che prima o poi gli sarebbero stati utili in teatro. Poco importa se quegli indumenti, in realtà, erano appartenuti all’esercito turco; la somiglianza con le divise dell’esercito italiano, diverse solo per rari particolari invisibili agli occhi di un pubblico distante dal palco, indussero l’attore a comprare quella divisa. Questo aneddoto l’amore di un attore per il teatro, che non lo abbandona nemmeno durante un viaggio di piacere. Lui è nei panni di un militare teso e sospettoso in missione; simpatico, imbranato, bonaccione e fifone, riporta alla mente Sordi e Gassman ne “La grande guerra”.

Carlo però, sia chiaro, non vuole scrivere o proporre una parodia dei nostri militari nel primo conflitto mondiale, bensì rappresentare il loro lato umano, creando uno spaccato di vita dove un giovane sbattuto al fronte, lontano da affetti e tranquillità, vede cadere come mosche i suoi compagni d’armi, e si rifugia in questo rapporto emotivo con le due sconosciute. Grazie forse anche a questo cerca di trovare la forza per obbedire agli ordini, seppur timoroso per la propria vita, e di portare a termine il suo pericoloso compito.

Il bello del racconto è che, seppur non sembra esserci una trama, il filo conduttore centrale è proprio questa conoscenza e chiacchierata, questo confronto tra i tre. Ne emerge un quadro in cui è possibile conoscere il punto di vista della donna e dell’uomo.

Carlo ci porta indietro nel tempo e ci regala, in un’ora, uno spaccato di vita tra chiacchiere e battute divertenti espresse in dialetti così lontani tra loro per provenienza geografica, ma al contempo così vicini umanamente. Si crea un simpatico e riuscito legame affettivo tra persone che altrimenti non si sarebbero mai incontrate, che non hanno più nulla e che possono perdere l’unica cosa che gli è rimasta, la vita, in qualsiasi momento. Sinceramente non avevo mai visto proporre, su un palco, una storia ambientata durante la Grande Guerra, soprattutto mai avrei immaginato di vederlo presentato in una maniera così delicata, così dolce, così umana e così vera.

Giovanna è un’attrice sorprendente, di cui mi sono quasi stancato di tessere le lodi, tanto l’ho seguita e tanto la conosco ed apprezzo per bravura, intensità, presenza ed impegno. È sempre magnifica, sempre fresca, sempre vitale. Affiancata dalla bravissima Ester, lei invece per me una sorpresa, essendo la prima volta che la vedo. Subito ho notato la sua potenza, l’energia, la sua espressività. Con quegli occhioni celesti enormi ed ipnotici, sembra scandagliare l’intimo di ogni presente in sala, oltre che trasmettere le forti emozioni del suo personaggio. Poi il simpaticissimo Valerio, la rappresentazione della bontà, della semplicità; bonario, cordiale, divertente, ma anche profondo e soprattutto romanissimo.

VittoriaUn’ora che vola. Come fossimo catapultati indietro nel tempo a quei giorni, siamo stati fortunati testimoni di questa storia che ha incrociato tre splendidi personaggi legati da un unico destino. Una storia che non troveremmo mai su un libro di scuola, che lascia spazio solo a date, percentuali, aride descrizioni di eventi spesso piuttosto sommarie, luoghi geograficamente anonimi, descrizioni prive della minima attenzione all’aspetto umano.

Carlo è andato oltre e grazie a questo cast, ha dato vita alla Storia in questo suggestivo e accogliente Teatro Le Salette, sempre ricco di piacevoli proposte teatrali.

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