Pasolini, 50 anni dopo: la voce che non muore, il grido che ancora ci parla

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“Pasolini non è un ricordo. È una voce che continua a gridare — e che ci obbliga ancora a guardare dentro noi stessi.”

Cinquanta anni.
È passato mezzo secolo da quella notte fredda di Ostia, eppure Pier Paolo Pasolini sembra ancora qui.

Lo immagini camminare per Roma con il suo cappotto scuro, lo sguardo curioso, quel passo deciso di chi ha troppa verità dentro per stare fermo.

Pasolini non è mai davvero morto.

È rimasto nelle nostre parole, nelle scuole che studiano i suoi testi, nei teatri che ancora mettono in scena la sua voce, nelle retrospettive che proiettano i suoi film come fossero lampi nel buio.
Le città gli hanno dedicato piazze, strade, murales, musei, festival.

Roma, Bologna, Casarsa — ogni anno lo ricordano, lo cantano, lo raccontano.
Gli artisti lo citano, i ragazzi lo riscoprono, le sue frasi tornano sui muri come preghiere laiche.

Tutto questo per dire che lo amiamo, che lo abbiamo capito o almeno, che proviamo a capirlo adesso.
Ma forse, come spesso accade ai grandi, dovevamo farlo prima.

Dovevamo amarlo di più quando era vivo, quando gridava la verità e noi ci tappavamo le orecchie.
Dovevamo ascoltarlo quando il suo dolore era una richiesta d’aiuto e non un’eco da commemorare.

Era un uomo scomodo, sì.
Ma anche profondamente umano.
Guardava dove nessuno voleva guardare: le borgate, i volti consumati, i ragazzi senza futuro, le contraddizioni di un’Italia che cambiava troppo in fretta.

Scriveva come si respira: con urgenza, con rabbia, con amore.

Oggi, 2 novembre 2025, capiamo quanto aveva ragione.
Aveva previsto l’anestesia delle coscienze, la fame di immagini, la perdita di autenticità, la solitudine nascosta dietro lo schermo.
Pasolini aveva visto tutto.

Eppure non ha mai smesso di credere nella bellezza, nella poesia, nel potere della parola.

Le sue frasi restano vive come brace che non si spegne:

“Io so. Ma non ho le prove.”
Parole che continuano a far tremare la coscienza di un Paese intero.

Cinquant’anni dopo, lo ricordiamo non come un mito lontano, ma come un uomo vero.

Un uomo fragile e immenso, che amava la vita anche quando lo feriva, che trovava poesia nel dolore, luce nella colpa, verità nel fango.

Un uomo che pagò la libertà con la solitudine.

Oggi lo celebriamo con rispetto e amore, ma anche con un po’ di rimorso.
Perché sappiamo che dovevamo esserci, allora.

Sappiamo che, come spesso accade, i geni li comprendiamo solo quando non possono più parlarci.

Guardiamo il mare di Ostia e pensiamo che forse Pasolini è ancora lì, nel vento, nella sabbia, nel silenzio che continua a interrogarci.

E ci chiediamo, con un nodo alla gola, se anche noi avremo mai il suo coraggio.

Perché Pasolini non è un ricordo.
È una ferita aperta, una scintilla che ancora illumina.
È la voce che ci ricorda che la verità non muore, anche quando la si vuole mettere a tacere.

Scrivi a: redazione@viviroma.tv

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Il Gruppo ViviRoma fondato da Massimo Marino nel 1988, nasce come giornale murale per ampliarsi nel tempo in un magazine, TV e WEB.

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