Parte 1
La fortezza di Castel Sant’Angelo era originariamente un mausoleo voluto dall’imperatore Adriano.
Si accede al mausoleo attraverso l’ Atrium, realizzato in grandi blocchi regolari di travertino che in origine erano rivestiti da lastre marmoree oggi non più presenti. Rimangono a testimonianza delle grandi grappe metalliche che servivano per sorreggerle.
La grande nicchia sullo sfondo ospitava una statua colossale dell’imperatore, di questa rimane oggi solo la testa, conservata nella Sala Rotonda dei Musei vaticani.
Proprio da questo punto partiva il corteo funebre, qui erano deposte le ceneri dell’imperatore e sempre da qui si era pronti poi a lasciare il mausoleo.
Dopo l’ Atrium si imbocca il Dromos, un corridoio lungo 12 m che in origine era perfettamente allineato al Pons Aelius (oggi Ponte Sant’Angelo). Un grande corridoio a spirale lungo 140 metri porta verso il primo piano, all’interno della struttura.
Fu nel 135 d.C., che Publio Elio Adriano cominciò la costruzione della Mole con l’intento di farne un mausoleo per sé e i suoi familiari. Adriano governò ventun anni, dal 117 al 138 d.C. e morì prima che la sua tomba fosse terminata. Solo nel 139 l’architetto Demetriano (o Detriano), sotto il regno di Antonino Pio finì i lavori. Da allora il mausoleo sarà utilizzato ininterrottamente per contenere le spoglie dei suoi successori, dagli Antonini ai Severi, dal 139 fino al 217 d.C., ospitando ben dieci imperatori e alcuni loro famigliari. Le ultime spoglie che accoglierà saranno quelle di Caracalla. Poi, la tomba monumentale si trasformò in una roccaforte, tanto che nel 403, nel periodo di Onorio e Stilicone, venne inglobato nelle Mura Aureliane.
All’interno del Mausoleo che sorgeva sull’area degli Horti domizianei, oltre al busto di Adriano, troviamo anche quello di Antonino Pio. Essendo posto sull’altra sponda del Tevere, Adriano per collegarlo alla città, fece costruire il Ponte Elio, oggi conosciuto come Ponte Sant’Angelo.
Anche Dante Alighieri attraversò questo ponte in occasione del Giubileo del 1300, quando papa Bonifacio VIII per evitare confusione tra la folla di pellegrini diretti alla Basilica di San Pietro, aveva istituito sul ponte un doppio senso di marcia. Dante si ispirò proprio a questa singolare situazione quando descrisse nella Divina Commedia le due file di peccatori in processione che stava incontrando nella prima bolgia dell’Inferno.
Nel 1670 Clemente IX volle abbellirlo con delle statue di dieci angeli realizzati da allievi del Bernini sotto la sua guida. Ogni angelo porta con sé oggetti legati alla Passione di Cristo. Questi invitano il pellegrino a riflettere sulla Redenzione invitandolo alla Penitenza. Tra gli oggetti tenuti dagli angeli: un cartiglio, una corona di spine, un flagello, la colonna a cui fu legato Gesù, il velo della Veronica, la tunica che i soldati si giocarono ai dadi, i chiodi della croce, la scritta INRI e la croce su cui fu posta la scritta, la spugna imbevuta di aceto e la lancia che trafisse il costato del Redentore.
Si aggiungono le statue dei due Patroni di Roma S. Pietro (del Lorenzetto) e S. Paolo (di Paolo Romano),a che sono del secolo precedente, commissionate da Clemente VII.
Giunti al primo piano incontriamo un passaggio voluto da Bonifacio IX alla fine del 1300 che serviva a raggiungere l’interno della struttura. Di fronte al suo accesso c’è una ricostruzione di un corpo di guardia del 1500. Sul pavimento c’è una botola che serviva a bersagliare il nemico se riusciva ad oltrepassare le mura, il fossato e il ponte levatoio.
Sul soffitto c’è un’altra apertura, da questa sì poteva controllare la situazione ed agire tempestivamente con l’uso della botola sottostante.
Si aggiungono due aperture laterali posizionate sui lati della porta d’entrata, dove erano posizionate delle bocche da fuoco.
Più avanti c’è un ponte realizzato nel 1825 da Giuseppe Valadier, che serviva da accesso alla Sala delle Urne. Qui furono costudite e furono conservate le spoglie imperiali.
In origine la sala aveva il soffitto decorato da stucchi, mentre le pareti erano ricoperte da marmi. Le urne erano collocate su mensole all’interno di grandi nicchie aperte nelle pareti.
Sulla sinistra del visitatore che sale, c’è una lapide marmorea che riporta i versi di Adriano dedicati all’ anima, resi celebri da Margherite Yurcenar con il libro “Memorie di Adriano” pubblicato nel 1951:
“Piccola anima smarrita e soave, compagna ed ospite del corpo, ora ti appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più svaghi consueti.”
Dopo il periodo romano, Castel Sant’Angelo divenne una prigione, poi una fortezza, in seguito una caserma e infine un museo.
La struttura nel tempo ha subito numerosi e drastici cambiamenti come alcuni plastici esposti all’interno di una sala sita al primo piano testimoniano.
Il castello fu acquistato dallo Stato italiano nel 1870, ma solo nel 1925 diventò Museo Nazionale Militare e dell’Arte.
Prima di essere acquisito il monumento attraversò una grave fase di decadimento, molte stanze che erano state destinate a celle, a caserma o a magazzino, avevano ormai i pavimenti rovinati e sconnessi, mentre i meravigliosi affreschi sulle pareti ormai sbiaditi e scrostati vennero addirittura ritinteggiati di bianco.
Nel 1892 per allargare i restringimento che si era venuto a creare tra il fiume e il castello, fu demolito l’ampliamento Secentesco del Bastione di San Giovanni, per poi intervenire sul Bastione San Luca, dove fu ricostruita la torretta scomparsa di Niccolò V. Venne anche ripristinata la merlatura delle mura che era stata abbattuta alla metà dell’Ottocento. Si voleva riportare il castello alle fattezze rinascimentali.
Così all’interno fu liberata la rampa elicoidale sgombrandola dalla terra che per secoli l’aveva occultata e i reperti antichi ritrovati furono raccolti e oggi esposti nella stanza al pianterreno.
Le stampe e i dipinti che si trovano nelle varie sale visibili durante il percorso, illustrano dettagliatamente i vari cambiamenti subiti nel tempo dalla struttura. Altre illustrazioni mostrano invece la tradizionale “Girandola”, ovvero lo spettacolo pirotecnico voluto da Papa Sisto IV (1471-1484), per festeggiare il 29 giugno i Santi Patroni della città Pietro e Paolo.
Sia i romani che i forestieri attendevano questa festosa ricorrenza. Il suggestivo spettacolo venne immortalato da diversi artisti tra cui Michelangelo Buonarroti, Bernardo Buontalenti e Gian Lorenzo Bernini, anche Francesco Piranesi e Franz Theodor Aerni.
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