“Er mostro de Roma”

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TEATROVID-19 Il teatro ai tempi del Corona (autunno tra ritorni di Covid ed influenze stagionali)
Teatro Trastevere
Di Simone Giacinti
con Massimo Genco e Simone Giacinti
regia di Vanina Marini
musica dal vivo di Fabio Senna

Lo spettacolo doveva andare in scena a gennaio, poi a causa di alcuni imprevisti è stato posticipato a questi giorni. In occasione di quella che doveva essere la Prima, avevo fatto un’intervista a Simone Giacinti di cui riporto il link qui di seguito:

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=pfbid0kMGJdmNxBiBWtKxg3UfyvUUgAXDZyaqPQ4D4zh7h8964dwi9ksFzM9Lmdahs2FLql&id=105141041100778

La storia di Gino Girolimoni la conosciamo tutti. Nonostante quest’uomo fosse innocente, venne accusato di aver violentato e poi strangolato alcune bambine nel 1924. Ricordo ancora, da ragazzino, aver sentito dire a chi faceva apprezzamenti a giovani ragazze “Ma chi sei? Girolimoni?”

Nonostante l’acclarata estraneità ai fatti, dopo decenni questo poveraccio era ancora ricordato ingiustamente come un pedofilo assassino… Vanina Simone, Massimo ci raccontano la sua storia fatta di tremenda ingiustizia, con l’intento di restituire dignità a un uomo innocente.

La sala è piena stasera al Teatro Trastevere; ne sono molto contento perché Vanina, Massimo e Simone lo meritano e lo dimostreranno ai presenti. Li conosco da anni, li ho visti innumerevoli volte esibirsi, e hanno soddisfatto sempre sia me che il pubblico presente. Li apprezzo molto sia come artisti che come persone. Quello che ci offrono stasera si può riassumere con un’unica parola: poesia. Simone e Max trasmettono, attraverso la loro profonda romanità intrisa di forte drammaticità, tutta la crudezza di questa storia, arrivando con la loro bravura a toccare le corde più sensibili dello spettatore come farebbe un poeta. Ci regalano uno spettacolo ricco di profonda umanità ma anche di dolore, di rassegnazione, dove si intravede lontanamente un barlume di fioca speranza.

Max interpreta un povero Gino Girolimoni rassegnato, o forse è più giusto dire stoico; una sorta di nuovo Cristo immolatosi per colpe altrui, quelle di una Roma che già dalle origini con Romolo e Remo nasce dal seme della violenza. Poi, con il fascismo, non devia più di tanto da quel sentiero. Simone è invece nei panni del volenteroso e giusto ma impotente commissario Giuseppe Dosi, colui che rappresenta una giustizia carnascialesca. Nonostante il suo estremo impegno, davanti agli innumerevoli ostacoli posti dal regime cerca di arrivare al vero responsabile dei delitti. Simone trasmette ottimamente lo stato d’animo dell’uomo, ridotto a mero rappresentante di una cieca indifferenza di regime e che vive un grande senso di sofferta impotenza, perché si capisce che Girolimoni è semplicemente un capro espiatorio, un colpevole da dare al più presto in pasto all’opinione pubblica per imbonirla, per dimostrare l’efficienza della macchina fascista. Come viene sottolineato da questi grandi artisti, il popolo, seppur soggiogato da un regime tirannico, è sempre una pentola a pressione pronta ad esplodere, “a cui puoi fare tutto, ma non devi toccare i suoi bambini… “. Per placarlo deve essere accontentato e allora si inventa un mostro e lo si dà in pasto alla folla. Lo spettacolo si sviluppa su questi elementi: il popolo, il regime, la legge e le menti ignoranti. Tutti alla ricerca di qualcuno che paghi per quei delitti, meglio se lo faccia in silenzio.

Dosi segue una pista: prima un fazzoletto con delle iniziali che si riveleranno quelle del probabile colpevole; poi delle pagine scritte in inglese di un testo sacro. Dunque il sospettato è un inglese e anche prelato… Ma Dosi ha le mani legate, il colpevole va trovato subito per dimostrare che il regime funziona. Quelle prove perciò non vengono neanche citate nei verbali, anche perché potrebbero incrinare i rapporti diplomatici tra Italia e Gran Bretagna. Allora, via alla caccia ai fantasmi: prima si suicideranno due sospettati, messi ingiustamente alla gogna anche se innocenti; poi sarà il turno di Girolimoni che trascorrerà un anno e mezzo in isolamento nel carcere prima di essere liberato, ma sarà condannato a vita a portare sulle spalle quella terribile macchia.

Bella l’idea della regia di porre i due personaggi uno più in alto e l’altro più in basso, a sottolineare la distanza. Come dei quadri, si illuminano e cominciano a raccontarsi, ma lo fanno separatamente senza mai accavallarsi. Intanto fa da cornice un fastidioso e profondo buio che li circonda. Gli unici arredi della scarna scenografia sono coperti da lenzuola bianche che contrastano fragorosamente con il resto dell’ambiente. Intanto i due personaggi soffrono, senza mai interagire tra loro, e accoratamente prendono vita le loro voci interiori, i brutti ricordi, gli sfoghi, la frustrazione. Ancora non si conoscono e questo dislivello sul palco ne sottolinea la distanza. Entrambi gli attori si esprimono con una grande drammaticità, efficacemente dipinta sui loro volti; tra parole tremanti e altre vomitate con rabbia e dolore, la stessa storia è raccontata così da due punti di vista diversi. Complici i costumi, le luci e la musica di Fabio Senna che spezza o accompagna le scene con una colonna sonora sempre discreta e delicata. Attraverso questi magici espedienti si entra ancora di più in un’atmosfera eterea intrisa di marcio.

Entrambi soffrono uno per l’ingiustizia l’altro per l’impotenza. Con profonda rassegnazione, fortemente contriti, Simone e Max coinvolgono il pubblico che empaticamente sente, avverte, rivive. I due sono così immersi nei personaggi che visibilmente empatizzano con loro, si contorcono in quel dolore, tra le ingiustizie mai superate, tanto da sembrare i veri protagonisti della storia. La regia sceglierà finalmente di farli incontrare sullo stesso livello del palco alla fine dello spettacolo, stavolta per sottolineare il destino che li accomuna, quando molto poeticamente svilupperanno un’amicizia che in realtà storicamente non c’è stata. La realtà è invece che Dosi, convinto dell’innocenza di Girolimoni, riaprirà il caso e per questo sarà osteggiato dai superiori, poco inclini a mostrare gli scheletri dell’armadio di un regime fallimentare. Verrà ricoverato coattamente al manicomio di Santa Maria della Pietà per diciassette mesi.

Sarà reintegrato nella polizia solo dopo la caduta del fascismo. Alla morte di Girolimoni, il commissario parteciperà al suo funerale alla basilica di San Lorenzo fuori le mura, forse più per “amicizia” che per senso di colpa, essendo una vittima anche lui. Vorrà accompagnarlo dopo il trapasso per porgergli quell’ultimo saluto come gesto di profonda umanità.

girolimoniLo stesso Ralph Lyonel Brydges, il maggior sospettato, una volta arrestato, sarà subito rilasciato. Mai si conoscerà, nonostante le prove raccolte siano contro quest’ultimo, il vero responsabile dei delitti e delle violenze.

Simone e Max si rivelano due artisti sensibili e profondi, artisticamente molto preparati in grado di proiettarci in questo dramma, farci sentire il sapore della “sbobba” mangiata in carcere da Girolimoni, l’odore della muffa della sua cella, delle feci non raccolte dei detenuti; il dolore delle vessazioni e delle angherie subite, dei soprusi, dell’impotenza, della vergogna… Vanina, che ben conosce le loro doti avendo spesso condiviso il palco con loro in passato, sfrutta appieno le loro potenzialità e libera questi “mostri da palcoscenico” che stasera hanno dato (come sempre) il meglio di loro stessi. Concentrata in un’ora ed un quarto, finisce la memorabile serata, la prima della stagione che il sorprendente teatro Trastevere offre al suo pubblico.

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