“Il Principe del Varietà” è ancora in cartellone al Teatro Roma. Io ed Antonello siamo ospitati nel suo foyer prima dello spettacolo per questo incontro/intervista.
Le serate di questo spettacolo sono andate a ruba, il pubblico è intervenuto numeroso ed è andato via sempre contento, ritemprato dallo spettacolo di quello che da sempre definisco uno tra i migliori artisti del panorama italiano.
Non mi dilungherò nelle solite immancabili lodi nei confronti di Antonello Costa perché voglio lasciargli un ampio spazio al fine di conoscerlo meglio insieme a voi.
Purtroppo non sarà possibile riportare l’intervista integrale perché è durata circa 65 minuti… l’idea era di preparare dei video con l’audio dell’intervista completa a puntate, supportata graficamente da fotografie di Antonello e dei suoi spettacoli. Una sorta di “Antonello Costa in pillole.” Vedremo…
Vi preannuncio che è stata per me una bellissima chiacchierata che mi porterò sempre nel cuore. Quello che leggerete è dunque un riassunto di questo piacevole e lunghissimo incontro che ho cercato di non snaturare trasformandolo in una fredda e stringata intervista, cercando di lasciargli quella naturalezza con cui si è svolta.
Antonello, la prima domanda che voglio farti, visto che sei il principe se non il re del varietà è: quali sono le tue maggiori influenze? Chi sono gli attori che ti hanno ispirato e che più hai amato del passato? E se ce ne sono, quali sono quelli del presente?
Bella domanda. Allora, i primi sono sicuramente Stanlio e Ollio, sono cresciuto con loro grazie a mamma e papà che me li facevano vedere insieme a Buster Keaton e a Totò. In seguito, quando frequentavo l’università, ho scoperto anche Chaplin.
In un podio ipotetico, metterei al terzo posto Totò, al secondo Stanlio e Ollio e al primo Charlie Chaplin, un genio assoluto.
Quindi fondamentalmente sono questi i grandi capi comici che mi hanno ispirato. Stan Lauren poi è stato uno dei più grandi scrittori comici della storia. Poi per un periodo ho studiato addirittura Peter Sellers, perché ha un tipo di comicità davvero particolare.
Più avanti negli anni, mi sono interessato alla Rivista, all’ Avanspettacolo e al Varietà e di conseguenza ad artisti come Walter Chiari, Modugno, Sordi, Fabrizi, Nino Taranto, Totò, lo stesso De Filippo… poi andando a Napoli ho scoperto anche Viviani e Scarpetta.
Per me tutto è fonte di ispirazione, come nella musica. Io per esempio adoro Chopin, mi piace Strauss, ma ascolto anche gli Squallor e Nino D’Angelo… cerco di essere “open mind”, è una regola che mi ha trasmesso il mio insegnante di Tip Tap, che mi invitava a non fossilizzarmi mai su una sola cosa. Questo vale anche per la comicità.
La comicità è una cosa soggettiva, un’arte che andrebbe insegnata a tutti. Credo che se una cosa non ti faccia ridere, tu abbia tutto il diritto di dirlo. È come un quadro, può piacerti o meno, l’arte ha una percezione soggettiva.
Per esempio quando faccio la risatina del mio personaggio Sergio, molti mi applaudono e ridono, ma c’è pure chi mi guarda perplesso e pensa che io sia uno scemo…
Tornando ai comici moderni che mi hanno influenzato sono stati sicuramente Frassica ai tempi di “Indietro tutta”, ma anche Arbore e tutti quelli che partecipavano a questi programmi, come “No Stop”, un altro programma storico che faceva Trapani e Lo Falco, nel 1976, dove c’erano la Smorfia e i Gian Cattivi, poi è arrivato il “Drive-in”, con D’Angelo, Ezio Greggio, in seguito ho apprezzato anche Aldo Giovanni e Giacomo, Albanese e infine Gigi Proietti. Proietti era un maestro, Aldo Giovanni e Giacomo e Albanese ancora non lo sono, ma chissà, forse un giorno lo diventeranno.
Qual è il numero al quale sei più affezionato? Qual è quello più difficile da portare scena e quello che ti piace di più proporre?
Dipende dal numero, ci sono tanti numeri, e tante tecniche diverse che uso, come il Karacosello, quello con le canzoni brevi, dove tiro fuori degli oggetti, che riprendono le parole del testo. Quello è un lavoro molto veloce, perché è fatto attraverso l’ intuizione comica. Ascolti una canzone ed abbini un oggetto… tutto sommato è semplice. Il lavoro più difficile invece è la sequenza di oggetti da mostrare, perché devi partire da quello meno divertente a quello più divertente, altrimenti si interrompe la comicità, si crea un buco.
Poi ci sono numeri più complicati, uno dei più difficili è il Centone, qui la tecnica è quella di cambiare il testo di più canzoni e mixarle insieme per crearci sopra una storia. Preparo una sequenza di circa diciotto canzoni, per fare un numero che dura circa sette minuti e poi lo registro in studio. Solo che magari risentendolo mi accorgo che una sequenza che prima sembrava divertente, con la musica perde il suo lato comico, e allora bisogna ricominciare. Così ricontatto gli autori Gianfranco Fino e Gianluca Irti e i musicisti e ricominciamo a lavorare in studio di registrazione…
Per fare tutto questo possono passare dai due ai quattro mesi… poi magari arriva l’intuizione! Pensa ci sono numeri che ho nel cassetto da più di due anni! Sto ancora aspettando la giusta ispirazione.
Sai come nasce Chella Mood? Mi piaceva il brano Chella là, però non potevo proporla come la facevano tutti, quando ad un certo punto trovo un CD di Glenn Miller, così mi è venuta l’idea di fonderle insieme, ed è nata Chella Mood! (Brano di apertura dello spettacolo).
Il numero a cui sono più legato è quello di Dante. È stata una scommessa, una pura follia. Mi faceva ridere l’idea di questo stravagante personaggio simile ad un vagabondo con tutte le sue buffe espressioni che chiama e cerca un amico immaginario. Quando l’ho proposto, inaspettatamente il pubblico ha cominciato a fare gli stessi versi di Dante. Così con il coinvolgimento della platea, questo numero ha preso tutta un’altra piega ed è diventato il Tormentone! Quindi sì, Dante è quello a cui sono più affezionato.
Quello più difficile da fare invece è sicuramente Arcangelo Bottiglia, perché è il re delle balbuzie, è davvero impegnativo, anche fisicamente. Per farlo metto in tensione tutti i muscoli del collo e gli addominali per circa 5-6 minuti.
Ogni volta che lo propongo ho sempre un po’ di timore, perché se non prendo il ritmo giusto potrebbe non funzionare. È un po’ che non lo porto in scena, credo tre o quattro anni.
Un altro che mi piace molto è la macchietta, quella del gallo, perché non viene mai uguale. Anche qui molto dipende da come risponde il pubblico, così devo essere molto aperto, adeguarmi ed improvvisare (un numero divertentissimo, che trasforma con i cori del pubblico la platea in un pollaio). Mi piace anche Tony Fasano, il pugliese fermo agli anni Settanta per le sue battute… ma ce ne sono anche altri…
Ho sempre la sensazione che qualsiasi spettacolo tu faccia, riesci sempre a divertirti. Ma come fai ad avere sempre questa carica? Eppure nella vita succede di tutto, ci sono momenti spiacevoli, di difficoltà, ma a te sembra scivolarti tutto addosso…
È troppo bello divertire le persone, è risanante. Qualsiasi cosa tu abbia, mal di schiena, mal di testa, male al ginocchio… pensa a quando ballo Michael Jackson sai quante volte capita che mi faccia male il ginocchio o la caviglia? Lasonil, fascia elastica e si va in scena, dove scompare tutto, anche dopo tutti questi anni di carriera per me è ancora così. Far ridere la gente è eccitante, è come una droga, mi dà carica e allegria, mi rende felice.
Vedi, oggi è martedì, ci sono duecentoventi persone in sala su trecento posti, domani saranno centosessanta, sabato e domenica invece sarà pieno, ma anche se c’erano solo trenta persone, per me era uguale, perché io mi diverto sempre.
Sapere che c’è gente che a Roma prende la macchina dopo una giornata di duro lavoro, si imbottiglia nel traffico, cerca con difficoltà un parcheggio per venire qui a distrarsi e divertirsi…
Il mio compito è quello di soddisfarli, di farli divertire e questo mi piace, poi è il mio lavoro. Io lo sento il pubblico in sala, lo percepisco, sento quello che dicono nelle prime file. Pensa, a Bologna esco sul palco con una parrucca e una signora anziana dice all’amica: “Ma è sempre lo stesso di prima?” Che cosa avrei dovuto fare? Mi sarei dovuto fermare per dirle che sì, ero sempre io, ma con un travestimento!
Ho letto una cosa di Tommaso Marinetti, quando parlava di Petrolini e del Varietà. Secondo lui questa era l’unica forma di spettacolo dove la trama si svolge contemporaneamente sul palco e in platea, perché il pubblico è portato a partecipare. È così Infatti, il Varietà è l’unica forma di spettacolo dov’è prevista l’interazione con il pubblico.
Ho visto che le ballerine del tuo spettacolo cambiano frequentemente, come funziona il lavoro preparatorio del corpo di ballo? Immagino che in questo ci sia l’aiuto di tua sorella Annalisa…
Annalisa è fondamentale perché, le ballerine diciamolo, sono delle rompiballe…
Essere ballerina è difficile. C’è la ballerina che ripassa i passi poco prima di entrare in scena perché vuole farli bene, altre invece prendono la cosa con più leggerezza, “perché ballare è bello…” pensano, ma io propongo vari stili di ballo: uno stacchetto anni ’80, uno jazz, poi ne inserisco uno di danza classica, la danze del ventre, l’hip hop, il latino americano, il boogie woogie… le nostre ballerine devono conoscere tutte queste tecniche. Poi mettiamoci pure che ognuna di loro ha i propri impegni, per quello ne abbiamo diverse, così possiamo ruotarle.
Sai poi qual è un altro problema? Che purtroppo la paga di una ballerina è bassa e non lavora sempre e questo non le permette di vivere con il suo mestiere, così queste ragazze devono fare un altro lavoro e diventa molto difficile organizzare le prove perché ognuna ha i suoi orari…
Quindi ho deciso sedici anni fa, nel 2008 che non voglio saperne più niente, ho delegato tutto ad Annalisa. Ci troviamo solo per le prove, per il resto pensa a tutto lei. Mia sorella fa sempre un ottimo lavoro, è eccezionale. Poi le hai viste queste ragazze, sono belle, perfette, sincronizzate, sorridenti, ma anche educate, puntuali, professionali… e quindi brava Annalisa che le ha scelte e preparate.
5)Allora a questo punto ti chiedo: quanto è importante la presenza e l’apporto di Annalisa nei tuoi spettacoli?
Annalisa è basilare, non posso immaginare uno spettacolo senza di lei. Inoltre negli anni è migliorata moltissimo come artista, ha talento, e fa un lavoro organizzativo eccezionale. Pensa solo a questo spettacolo, fa la chantosa, un medley, fa il numero delle tre subrette, la danza del ventre… non sono più i momenti riempitivi che usavo per avere il tempo di cambiarmi da un personaggio all’altro, sono veri e propri numeri che hanno una loro valenza artistica. Annalisa poi negli altri spettacoli fa anche delle imitazioni come quella della De Filippi, di Loredana Bertè, di Jessica Rabbit… e inoltre partecipa ad alcuni miei numeri supportandomi, pezzi che non hai mai visto, ne ho più di centotrenta in repertorio… dunque non li puoi avere visti tutti! A questi aggiungi: venti monologhi solo di Don Antonino, quindici di Tony Fasano, otto di Sergio, 9 di Rocco… Tornando ad Annalisa, ha fatto e fa sempre un lavoro eccezionale, è diventata una Subrette con la “S” maiuscola, inoltre cura le coreografie, i costumi, poi va in scena e fa la sua bella figura. Ricevo molti complimenti dal pubblico per lei, come anche per il Corpo di Ballo. Questo vuol dire che lo spettacolo funziona.
Che mi dici del tributo ai cantanti romani? Ho visto che sono state scelte delle stupende foto panoramiche di Roma. Trovo poi molto toccante il finale che lasci aperto su Gigi Proietti. Ci parli di questo numero? Ho visto inoltre che hai sostituito il brano cantato da Aldo Fabrizi con uno di Renato Rascel perché?
Intanto facciamo i complimenti al grafico, perché quelle foto che tu vedi non esistevano, sono state create con l’aiuto dell’intelligenza artificiale. I sette re romani, sono sette artisti ben noti inseriti in ordine di nascita e poi associati ad un monumento. Così ogni monumento di Roma ha il suo artista di riferimento. Si tratta di una mia idea nata quindici anni fa.
La prima versione non era come quella che hai visto, quando Gigi ci ha lasciati ho voluto inserirlo per omaggiare anche lui. Un artista eccezionale che ho avuto la fortuna di conoscerlo. Qualcuno nel lontano 1996 gli portò un mio VHS, io ero giovanissimo, avevo venticinque anni. Insomma mi chiamano e mi dicono che Gigi mi vuole conoscere, pensavo ad uno scherzo… così andiamo a cena da Dante, che poi è il ristorante Il Bettolino, dove mi ritrovai io, Gianluca Guidi, il figlio di Johnny Dorelli, e Gigi Proietti… non riuscivo neanche a parlare, poi a fine cena Gigi ci invita a casa sua. Siamo stati da lui fino alle sei di mattina, ricordo che quando sono uscito era l’alba! Comunque quello che ci siamo detti non te lo posso dire, aspetterò ancora un po’, poi magari un bel giorno quando sarà il momento te lo racconterò.
Quando Gigi è morto ho rifatto il numero, avrai notato che lui è l’ultimo dei sette e che esco di scena facendo finire la canzone dalla sua voce…
Ogni volta che finisce il numero trovo Giampiero Perone dietro le quinte che lacrima. Nonostante sia torinese si emoziona anche lui con Gigi Proietti.
La sequenza originariamente era: Petrolini, Fabrizi, Califano, Villa, Manfredi, Sordi, Proietti.
Avevo messo la canzone Lulù di Aldo Fabrizi, però pochi la conoscono. Infatti quando ho fatto lo spettacolo a Bologna, i bolognesi cantavano tutte le canzoni tranne quella di Fabrizi. Così sono andato dall’arrangiatore e ho sostituito Fabrizi con Renato Rascel che canta Arrivederci Roma. Il prossimo che inserirò, speriamo il più tardi possibile, sarà Enrico Montesano, l’ultimo dei grandi capi comici.
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