“Due donne che ballano”

Pinterest LinkedIn Tumblr +
Teatro Portaportese
Di Josep M. Benet I Jornet
Regia Giorgia Passeri
Con Flavia Di Domenico e Marina Vitolo

Josep M. Benet i Jornet è considerato uno dei massimi rappresentanti del teatro di drammaturgia contemporanea e padre del teatro catalano. I suoi drammi sono il concentrato della solitudine generazionale in un mondo egoista incurante dei dolori altrui. Dunque, la sua è una profonda riflessione ed un’attenta analisi dell’individuo, della società e dell’esistenza.

Due donne si incontrano in una stanza volutamente scarna, disadorna, essenziale, che costringe lo spettatore a concentrarsi su di loro. Sullo sfondo, come panni stesi al vento, dei fumetti sospesi come marionette e tirati da fili che li lasciano sospesi e aperti nel vuoto.

Si intravedono delle storie, forse cominciate e non finite… Le due donne vivono in quella che sembra una sorta di prigione mentale collocata in una dimensione in cui il tempo sembra inesistente, immobile, morto. Come quei fumetti lasciati a metà. Sta a loro trovare la volontà e la forza per squarciare il pesante velo della prigionia.

Sulla scena si nota una predominanza di due non colori bilanciati tra loro: il bianco e il nero. Forse evocano le due posizioni estreme rappresentate dalle protagoniste.

Il pavimento ricorda una scacchiera su cui si muovono come giocatori di scacchi che si studiano con circospezione. Ognuna sembra attendere la mossa dell’altra, con pazienza o indolenza, in un gioco strano che all’inizio le vede rivali e contrapposte, poi via via sempre più vicine…

La più anziana (Flavia) ha due figli che la vedono come qualcosa di troppo, un inutile e fastidioso fardello, ma lei immagina, crede e spera che le vogliano bene. Vuole nutrire consapevolmente la sua illusione evitando di mostrare questa sua debolezza né a se stessa né all’altra (Marina), chiamata per il suo ruolo di badante dai figli.

Anche la vita privata della donna più giovane è costellata di tristezza, manifestata da un atteggiamento di apparente indifferenza e dal broncio perpetuo che le disegna il volto.

Anche lei cerca di nascondere il suo stato interiore, evitando ogni argomento che la porti ad aprirsi. Scopriremo, quando comincerà a “scongelarsi”, che ha perduto il figlio durante un litigio con il compagno che l’ha colpito accidentalmente a morte, durante uno dei suoi maltrattamenti quotidiani.

Questo l’ha segnata a vita, così ora odia tutti gli uomini, la vita e se stessa.

Il primo incontro delle due donne non è idilliaco, e viene ben curato dalla regia, che pone le donne a confronto di schiena, senza guardarsi, o di fronte mentre si affrontano in cagnesco. Si avverte, così, il disagio interiore che proviene dal loro passato e dall’amaro presente.

È evidente la loro sfiducia nel prossimo che in questa tenzone le fa restare a distanza, provocandosi e respingendosi, fino a farsi male reciprocamente con le loro parole.

Le somiglianze tra loro, però, iniziano ad avvicinarle in una sorta di triste simbiosi. Oltre ad una vita dolorosa e vuota, hanno in comune un cattivo rapporto con gli uomini, dai quali non riescono a staccarsi e che continuano a pesare sulle loro esistenze.

Cominciano a specchiarsi l’una nell’altra e pian piano crescerà una forma di solidarietà, una certa empatia che gli permetterà di togliere la maschera e di superare la rabbia che hanno in comune.

La giovane donna donerà all’anziana il fumetto mancante con cui completare finalmente la raccolta; sarà appeso vicino agli altri e accolto con quella gioia mai provata da bambina perché nessuno dei genitori le aveva mai regalato i fumetti.

Questo è l’unico esemplare a colori in mezzo agli altri, a rappresentare forse un ritorno alla vita, finora sempre vista in bianco e nero.

Il testo, per riuscire e arrivare nell’intimo dello spettatore, necessita di una grande interpretazione; Flavia e Marina ne sono all’altezza, grazie anche all’attenta regia di Giorgia Passeri che ne valorizza le capacità.

Flavia e Marina lavorano spesso insieme ed hanno sviluppato una grande sintonia e complicità che trapela sempre dalle loro proposte.

Le avevo però sempre viste in commedie divertenti, mai in un dramma così intenso.

Flavia dà al suo personaggio un volto molto espressivo e coinvolgente da subito; è antipatica, provocatoria e rabbiosa.

Marina veste i panni dell’altra donna con un approccio diverso, trasognante, talvolta assente e lontano, più impermeabile, interiore. Bisogna fare attenzione alla sua apparente immobilità espressiva ed entrare nei suoi occhi lucidi e ascoltare l’uso della voce per carpire l’essenza del personaggio.

Le due interpretazioni volutamente si discostano per disegnare due modi differenti con cui l’essere umano affronta lo stesso dolore.

Come il bianco e il nero della scenografia, sono diverse ma fanno parte dello stesso schema di gioco emozionale.

Arrivano, così, a fondersi una nell’altra durante una bella scena nel triste epilogo, quando trovano finalmente una strada da fare insieme, mano nella mano e scevre da ogni paura, la percorreranno con una inaspettata allegria, staccandosi da ogni dolore, perdendo quel disgustoso senso di solitudine e sciogliendo quella corazza invisibile che le aveva protette dall’infelicità.

Si fonderanno in un dolce ultimo abbraccio e poi in un ballo che gli farà provare finalmente un amore vero ed intenso, più forte della vita e… della morte.

Scrivi a: redazione@viviroma.tv
Share.

Leave A Reply

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

WP Twitter Auto Publish Powered By : XYZScripts.com