Piazza Santa Maria Immacolata
Il Comitato di quartiere San Lorenzo presenta
“E fummo vivi”
Scritto e diretto da Veronica Liberale
Con Veronica Liberale, Fatima Alì, Camilla Bianchini, Fabrizio Catarci, Guido Goitre, Marco Zordan, Romina Bufano
“Pane, latte e lacrime”, “Io Libero” e oggi “E fummo vivi” sono spettacoli che prendono ispirazione dalla storia, anzi dalle piccole storie degli abitanti di San Lorenzo. Veronica dà voce agli inascoltati, ai dimenticati, a quelli che non compaiono sui libri ma che la storia l’hanno vissuta sulle proprie spalle. Persone che non sono finite su quelle pagine con i loro nomi ma come numeri e percentuali: quelli della povertà, dei decessi per i bombardamenti, delle invalidità di guerra. Persone senza un nome ma vere che hanno sofferto la dittatura, la fame, la guerra.
I primi due spettacoli che ho citato, presentati con successo proprio qui a San Lorenzo nelle scorse edizioni, ripercorrono, come quello di questa sera, le vicende di personaggi, alcuni reali e altri di fantasia, legati indissolubilmente a questo quartiere.
“E fummo vivi” prende spunto da fatti accaduti a San Lorenzo tra il 1921 e il 1922, quando il fascismo prende il potere. I protagonisti vanno intesi come rappresentazione dell’anima di un quartiere popolare antifascista che combatte per la libertà, e ancora oggi sono questi i tratti distintivi degli abitanti.
Veronica è molto legata al quartiere di San Lorenzo, dove è nata e cresciuta. Ispirata dalle pubblicazioni “La marcia nera” di Daniele Autieri e “Assalto a San Lorenzo” di Gabriele Polo, decide di far conoscere e tributare onore ai nomi finora sconosciuti delle vittime cadute sulle strade di San Lorenzo durante la marcia su Roma. Grazie anche alla collaborazione di Rolando Galluzzi e Piero Dominici, affronta anche i temi della crisi sociale, della miseria, del colpo di stato e dell’ascesa al potere del fascismo con la violenza, e poi della guerra.
Dopo una breve presentazione da parte del comitato di quartiere, con la presenza degli stessi autori dei libri e degli storici, sociologi già citati, comincia lo spettacolo.
Veronica è nei panni della sora Pina, donna di campagna trasferitasi a Roma nella speranza di una vita migliore. Dal carattere ruvido e spigoloso, è una lavandaia vedova costretta a subaffittare la propria povera casa, una stalla risistemata alla meglio, per tirare a campare. Pina è la personificazione dell’anima del quartiere. Nonostante il suo brutto carattere maturato nelle difficoltà e nelle vicissitudini della vita, si rivela comprensiva, accogliente, profonda e sensibile.
Camilla Bianchini interpreta Maria, la figlia di Pina. È una ragazza sensibile, sognatrice e ribelle a cui piace scrivere pensieri e, non avendo carta a disposizione, lo fa sugli scampoli delle stoffe trovate in giro. Quando può, trova rifugio e ispirazione nella biblioteca del quartiere perdendosi tra le pagine dei libri, che le offrono un’alternativa alla vita triste e difficile.
Fatima Ali è invece Isabella, una ragazza nata a Roma dall’amore di un soldato italiano e di una donna africana nel periodo della prima colonizzazione. La giovane vive le difficoltà causate dalla sua diversità in una società chiusa e ignorante. Il suo sogno è vivere di arte, visto che sa recitare e cantare.
Fabrizio Catarci è un ex medico che vive con una moglie malata (che non vedremo, ma di cui sentiremo la voce) nella casa subaffittata da Pina. L’uomo ha subìto i traumi della Prima Guerra Mondiale. È un uomo afflitto e combattuto che mitiga il suo dolore con qualche bevuta.
Inserendo sempre, nelle sue proposte, qualche personaggio colto in mezzo ai diseredati e ai poveri, Veronica riesce a presentare uno spaccato di umanità eterogeneo in cui i valori morali e la dignità sono trasversali, dimostrandosi slegati dallo stato sociale e dal livello culturale. L’ex medico, la giovane Maria povera e avida di letture, ma anche la dolce Isabella che anela ad una svolta nella sua vita attraverso l’arte, sono in forte contrapposizione con la dura realtà che vivono e con gli altri personaggi, ma hanno in comune la speranza e la voglia di cambiare il proprio destino.
Guido Goitre è Cesaretto, un orfano cresciuto in strada che vive di espedienti. Soprannominato Bambacione, è un buono, un semplice, un personaggio che incarna nella sua miseria la speranza nel futuro.
Poi c’è Marco Zordan che interpreta il Sor Capanna, l’unico personaggio reale, una sorta di cantastorie che fa il verso ai cantori Greci ma con l’animo profondamente romano. Marco ci delizia al suono della chitarra e della sua voce con stornelli romani, fungendo da ponte tra una scena e l’altra e portandoci delicatamente dalla bella voce di Romina Bufano, una sorta di Musa.
La storia della marcia su Roma è solo un’eco, viene appena abbozzata, è di contorno. Serve solo per farci conoscere ed esaltare i caratteri, la schiettezza e l’umanità dei sanlorenzini.
Come sottofondo, sottovoce ma presente, c’è l’ombra sempre più pressante della nuova realtà dittatoriale che sta per prendere il sopravvento.
Il cast, neanche a dirlo, riesce ad esaltare ogni personaggio, e anche questa è la forza della pièce. Ogni attore è completamente assorbito, perso nel suo ruolo, lo vive, lo sente, lo esalta con amore, passione e gusto e il pubblico se ne accorge. E ogni personaggio è disegnato in modo realistico e curato in ogni dettaglio grazie alla penna talentuosa di Veronica.
Dunque, attraverso un testo delicato e dolce, il pubblico respira l’odore amaro e triste del cambiamento che la marcia su Roma ha portato, e il dramma che coinvolse gli italiani dell’epoca.
Scrivi a: redazione@viviroma.tv