“Me ricordo, avoja si me ricordo “

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TEATROVID-19 Il teatro ai tempi del Corona (quale nuova variante ci accompagnerà in questo autunno?)

Teatro Porta Portese
Diretto da Stefania Polentini, con Stefania Polentini, Anna Sollinger, Silvano Boschin (chitarra e voce), Mauro Bassano (organetto) e con l’amichevole partecipazione di Pietro De Silva.

Si apre questa nuova serata all’insegna del Comic Show off, che sta proponendo in diversi teatri della zona, per festeggiare i 100 anni del rione Testaccio, numerosi ed interessanti spettacoli.

Oggi è di scena Stefania Polentini, che poco tempo fa ho avuto il piacere di intervistare proprio su questa proposta. Ecco il link:

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=pfbid02pKFULxEqb5EJ6zJrxqSMcq84K6GenxMhaFCkrE61wgpFEEdxxt8nszpBm1evFooBl&id=1740118659548192

Lo spettacolo è all’insegna di una profonda romanità che Stefania sprizza da ogni poro insieme al suo evidente, grande amore per la nostra città. L’essenziale scenografia si compone di un cortile pieno di foglie secche, che forse vogliono rappresentare, come l’autunno, la caducità della vita; dei panni stesi stanno probabilmente a rappresentare la vita quotidiana; una panchina, in cui vedo il tipico quadretto di persone anziane sedute che riflettono sulla vita o riportano alla mente vecchi ricordi. Troneggia la statua marmorea di un soldato romano armato, simbolo forse della lotta della donna sola che resiste alle avversità della vita, o forse più semplicemente simbolo imperituro dell’Urbe, la città eternità, una guardia scolpita nel marmo che custodisce i segreti più intimi della città e al contempo della donna, chissà…

Stefania ci porterà in un viaggio a ritroso nel tempo colmo di ricordi di una Roma sparita, dimenticata anche dai romani di oggi, che alle prese con la quotidianità hanno lasciato che la “memoria” si sbiadisse.

Stefania con la sua irruenza ci ipotizza, facendoci dimenticare per un’oretta la nostra vita frenetica. Portandoci per mano, con un sorriso quasi materno ci fa partecipi dei racconti di una romanissima portinaia di nome Rosina, interpretata con vigore e calore. Attraverso le sue ci racconta la Roma dei nostri nonni, quella schietta, diretta, vera. Chi meglio di lei?

È difficile spiegare come questa attrice riesca ad avere atteggiamenti, espressioni, ma soprattutto come riesca a parlare un dialetto romano caro alle generazioni che ci hanno preceduto e che teoricamente lei non dovrebbe neanche conoscere. Parole storpiate dal sapore trasteverino, esattamente come le pronunciava mio nonno. Per quanto Stefania si possa sforzare, non so davvero come sia riuscita ad essere così fedele nel riproporle con la stessa genuinità e spontaneità. Forse proprio perché in lei resistono quelle radici profonde, oltre che evidenti doti artistiche. Tutti i suoi racconti ci riportano alla mente quei ricordi dell’infanzia che i più maturi presenti in sala, sorridendo, hanno ritrovato in qualche angolo della propria memoria. Ricorda le gite domenicali fuori porta o per andare al mare, ammassati in quelle piccole Fiat 500 con l’immancabile fragranza della fettina panata che usciva dal paniere, o con l’ingombrante cocomero pronto per essere sepolto in una buca nel bagnasciuga per raffreddarlo. Tutti contenti in famiglia, quella famiglia che oggi, invece, è pervasa da mille impegni e ha perso la sua unità. Rosina ci racconta anche di quando era più piccola, del fascismo, della deportazione degli ebrei, della guerra, del bombardamento di San Lorenzo, della Liberazione. Tutti i ricordi passano attraverso i suoi profondi, brillanti e luminosi occhi scuri, che a volte empaticamente si gonfiano e si inumidiscono.

Bravi i due musicisti che l’accompagnano con i loro stornelli ripercorrendo la storia musicale romanesca. Bella la voce di Silvano, il chitarrista, e di Stefania, che con la sua verve riporta in mente le compiante Gabriella Ferri ed Anna Magnani. Accompagnata anche da Anna e Mauro, tutti in coro inondano di melodia e incantano la sala, che a volte risponde canticchiando. Stefania si rivela molto brava nei suoi monologhi, rivolgendosi spesso a quella statua del soldato romano eretta davanti alla sua portineria. Forse rappresenta il suo alter ego o la manifestazione dei suoi non detti, oppure forse è semplicemente la presenza silente dell’anima di Roma stessa, testimone di tutti questi accadimenti. Facendole compagnia per settanta anni, oramai suo malgrado è divenuta compagna di vita della donna, sua confidente; l’unica che conosce tutti i suoi segreti e con la quale lei riesce a parlare amorevolmente e teneramente, togliendosi quella ruvida scorza protettiva che la vita le ha fatto indossare. Solo di lei, infatti, Rosina riesce a fidarsi e solo con lei può aprirsi ed essere se stessa senza sentirsi giudicata; lei non si è mai sposata e invece di un uomo “ha sposato quel palazzo dove lavoro con tutti i miei condomini”. Condominio in cui ha lavorato per tanti decenni e che oggi la sostituisce con dei moderni videocitofoni, mandandola in pensione. Prima che questa “storica presenza” venga dimenticata, vuole lasciare testimonianza della sua vita al pubblico che è venuto ad ascoltarla. Anna, che accompagna la sua collega, è molto espressiva e brava come spalla, ha una voce stentorea e ben impostata. Si divide tra momenti buffi e momenti di lettura di sublime narrazione. Insieme, le due artiste creano dei deliziosi stacchetti cantati e delle gag molto divertenti in cui si fanno dispetti cercando di prevalere l’una su l’altra.

avoja se mi ricordoStefania, nelle vesti di Rosina, ricorda anche i suoi primi amori e le prime trasmissioni che riunivano davanti a un solo televisore tanti vicini di casa per vedere il “Musichiere”. Poi ci racconta del boom economico, dei primi elettrodomestici, dei mestieri che non ci sono più, della Fiat 600 del padre, quella con gli orribili sportelli che si aprivano a vento. Sono gli stessi ricordi di quelle generazioni di romani che si sono avvicendate negli anni, gli stessi che forse, ignari, sono passati proprio davanti alla portineria di Rosina e a quella statua che imperterrita ha resistito al logorio del tempo.

Lo spettacolo che racconta questa storia, sempre in bilico tra rimpianti e dolci ricordi, porta con sé anche un triste retroscena. L’autore, mentre collaborava con Stefania alla stesura della sceneggiatura, è venuto a mancare e non ha potuto scrivere il finale. Dunque lei, tra dubbi ed incertezze, ha pensato ad una chiusura davvero molto bella, che rende onore alla memoria del collega Claudio D’Amico. Ha pensato di dare voce a quella statua rimasta muta per tutto lo spettacolo attraverso le parole di una sua poesia, che sembra partorita dalla penna del Belli o del Trilussa, letta dall’ inconfondibile, calda e profonda voce del grande Pietro De Silva. Uno spettacolo ricco di sentimento, che strappa sorrisi amari ma anche qualche risata dal profondo del cuore. Stefania, insieme ad Anna, Silvano e Mauro ha dato vita ad una bella e piacevole serata che i presenti hanno gradito. Tanti i volti conosciuti tra il pubblico soddisfatto.

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