Napoleon – La recensione del film di Ridley Scott

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Spettacolo grandioso, caotico, decadente. Un film storico “di fantascienza”, forse il manifesto definitivo del cinema orizzontale, numerico e replicante di Ridley Scott.

la recensione di Carlo Valeri

Inizia e finisce con una morte Napoleon. La prima, in pubblica piazza davanti a una folla inferocita, la seconda quasi in sordina, nel fuori campo della Storia.

Due morti per certi versi antitetiche, quindi. Poi, quando scorrono i titoli di coda vengono ricordate altre morti. I numeri che riepilogano le vittime della battaglie combattute da Napoleone Bonaparte: Tolone, Borodino, Austerlitz, Waterloo. Scene di guerra tutte riprodotte con la consueta maestria e con le traiettorie tipiche del regista di Blade Runner e Il Gladiatore.

E quindi, Napoleon è un film sulla morte? In parte potrebbe esserlo e rappresentare insieme al precedente House of Gucci un dittico sul crepuscolo degli idoli, sul fallimento della gloria (o sulla gloria del fallimento?).

Il film, prodotto da Apple come l’ultimo Scorsese, in 158 minuti – ma successivamente all’uscita in sala verrà programmata in streaming una extended cut di oltre quattro ore – segue l’ascesa politica di Bonaparte, i successi sui campi di battaglia, i Colpi di Stato, e dedica tantissimo spazio alla relazione amorosa con Giuseppina con tanto di tradimenti, litigi e i tentativi frustrati di avere un figlio.

Questa love story “sterile” e allo stesso tempo modernissima per caratteristiche sessuali e “politiche” è uno degli elementi più spiazzanti di un film che con l’affresco storico, come era prevedibile, ha poco a che fare, a conferma semmai che Ridley Scott è soprattutto un regista di fantascienza. Prendiamo tutte le diverse location delle spedizioni militari ad esempio, riprese dall’alto come fossero droni inviati su pianeti lontani o screensaver “ritoccati” di paesaggi immaginari.

E quando del resto il Napoleone di Phoenix incontra la Giuseppina di Vanessa Kirby, davanti ai suoi occhi più che una dama di fine ‘700 sembra apparire un androide con le fattezze e il look della Daryl Hannah di Blade Runner.

A ogni modo colpisce la costanza con cui a 85 anni Scott porti a casa un kolossal da 200 milioni di dollari con lo stesso “stile” (modernista) di venti, trent’anni fa.

Come se il cinema non fosse mai cambiato. E come sempre avviene con Ridley Scott non si capisce mai cosa gli interessi davvero, se non ricreare ossessivamente immagini “alla Ridley Scott”. Ma qui veniamo al punto cruciale.

La proverbiale orizzontalità di questo cinema, dove tutto accade e scorre sullo schermo in pura superficie, pronta a essere modellata senza veri e propri criteri psicologici o morali, ma puramente estetici o di “confezione”, deve ricordarci che l’ascesa artistica del cineasta inglese corrisponde alla fine degli anni 70 e al decennio 80, ovvero all’epoca del video e del cyberpunk.

Quello di Ridley Scott è un cinema gestito dalla macchina (dei generi, della Storia, dell’industria) in cui gli esseri umani appaiono appunto come semplici attori/spettatori di un meccanismo più grande.

Qui ad esempio è chiaro come Napoleone attraversi le scene e il film stesso in modo sostanzialmente passivo, silente. Come se fosse la Storia stessa a risucchiare il personaggio e non il personaggio a fare la Storia. Di qui la sequela di eventi serializzati e progressivi – dal 1789 al 1821 – che passano via così, generici, uno dopo l’altro, come uno lo scroll di una bacheca social o i link ipertestuali di una pagina Wikipedia.

Forse Napoleon potrebbe essere il manifesto programmatico del regista inglese in quanto film sull’oggi proveniente dal passato. Non è tanto Scott che fa sempre lo stesso film in realtà, è Scott che parlava, ieri, il linguaggio che viene applicato, “oggi”.

Quando Napoleone verso la fine del film racconta ai giovani cadetti inglesi la sue tecniche di guerra, forse è lo stesso Ridley Scott a parlare: “In termini di geometria sono infallibile.

Posso prevedere precisamente dove una cannonata andrà a colpire, ma non posso controllare gli errori dei miei sottoposti”.

Anche qui si parla del talento della previsione, di un’abilità senza eredi naturali (di nuovo la sterilità!). Eccoci allora davanti a quel tipo di spettacolo grandioso, caotico e decadente che probabilmente non avrà mai veri e propri “figli”, a meno che non siano soldati sacrificabili, automi, numeri.

Firmato Ridley Scott, il primo cineasta “replicante” della storia del cinema. Padre di tutte le Immagini Artificiali che “guarderemo” e useremo da qui ai prossimi venti, trenta, quarant’anni.

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Il Gruppo ViviRoma fondato da Massimo Marino nel 1988, nasce come giornale murale per ampliarsi nel tempo in un magazine, TV e WEB.

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