Intervista a Roberto Marra e Stefano Salvatori su Amazon Prime con “Golia”

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Da poco su Amazon Prime è possibile vedere la pellicola di Roberto Marra e Stefano Salvatori, “Golia”.

Si tratta di un film originale perché inserisce delle parti di animazione. La storia è molto intensa e profonda ed esprime un forte senso rivalsa da parte di persone con problemi fisici o mentali dimenticate dalla società.

Sono qui per scambiare qualche domanda con i registi del film Roberto Marra e Stefano Salvatori.

goliaCi raccontate qualcosa di voi e delle vostre esperienze cinematografiche precedenti?

MARRA: Sono cresciuto in ambito coreutico come danzatore e coreografo, mi sono avvicinato alla settima arte nel 2012 dopo la pubblicazione del romanzo “Biglie” (Edizioni Eracle 2012), con lo sviluppo creativo di concept audiovisivi per il mercato b2b e alcuni prodotti documentaristici.

Ho dedicato i successivi anni di studio al concepimento di un approccio innovativo che abbracciasse tutte le fasi della produzione di un’opera, dalla pre-produzione alla post-produzione, attraverso le nuove tecnologie di rendering 3D e dei software di animazione digitale, nonché dei più classici strumenti di storyboarding e animatics al fine di rendere più efficaci i processi di realizzazione di un’opera.

Amante dell’animazione classica 2d ed estimatore del suo potenziale artistico e immaginativo infinito, sperimento in tutte le opere un principio di “ibridazione” tra l’elemento girato e quello animato.

SALVATORI: lavoro nell’audiovisivo da diversi anni, da sempre direi. Mi sono diplomato come montatore nel 94 alla scuola di cinematografia e Televisione Roberto Rossellini e da allora ho sempre lavorato nel settore, sempre come montatore e successivamente come cameraman. La passione per la regia è sempre stata molto viva. Avevo diretto diversi cortometraggi e programmi tv, anche episodi pilota per un paio di piccole fiction, ma alle prese con un lungo era la prima volta.

L’opportunità di lavorare su Golia è arrivata perchè per un periodo io e Roberto abbiamo condiviso alcuni progetti e ci siamo trovati bene, cosi mi ha proposto di seguirlo e di aiutarlo in questa avventura e ne sono stato felicissimo. Una bella sfida che avevo proprio voglia di affrontare. È stata un’esperienza fantastica.

Ho trovato il film molto intenso e profondamente umano, in grado di dare spazio sia alle persone afflitte da problemi psichici o dalla fragilità dell’età avanzata che alle figure che vi operano. Volete raccontare qualcosa del film? Qual è il messaggio che la pellicola vuole dare?

Siamo da sempre impegnati a raccontare il mondo della disabilità, sia cognitiva che fisica, come specchio in cui riflettere la natura umana e il suo spettro emozionale.

Nel caso specifico di Golia l’intento è quello di dare una voce di rivalsa e speranza alla categoria degli anziani, ma anche a chi è vittima di patologie debilitanti, spesso massificati e identificati con un principio di inutilità sociale, dimenticandosi del potenziale umano che custodiscono.

“Golia è un manifesto, la sua fuga ci rappresenta tutti. È la nostra rivalsa” L’aforisma del professore ci riporta all’esigenza spirituale di un nutrito gruppo di anziani di non lasciarsi piegare dalla vita e dall’istituzione sociale deputata al loro contenimento, trovando nella fuga di uno di loro, Golia, il manifesto perfetto per urlare il proprio disappunto al mondo.

Aldilà della storia che racconta, Golia nasconde anche altro, è bello pensare che il pubblico possa divertirsi a identificare e leggere tessuti simbolici o allegorici. Ma preferiamo non svelare altro, lasciando allo spettatore l’onere e l’onore dello spettro interpretativo.

Perché l’inserimento dei cartoni animati?

Per prima cosa perchè fa proprio parte della storia. Rafforza un espediente narrativo che rappresenta una sorpresa e non può essere rivelato.

In secondo luogo ci sembrava la forma migliore per esplorare il pensiero di Golia da vicino. Golia vive ancora per metà di ricordi, e questi ricordi si materializzano sotto forma di disegno.

Ricordi in scala di grigi con pochi elementi colorati di attenzionamento: il linguaggio a nostro avviso migliore per rappresentare il ricordo episodico di un individuo, sia quest’ultimo malato di demenza o meno; se focalizziamo la nostra attenzione su un ricordo remoto, la sua rappresentazione ci apparirà desaturata, per certi versi frammentata, salvo per alcuni particolari, gli stessi probabilmente che hanno concesso l’impianto del ricordo nella nostra memoria a lungo termine.

Avete scelto attori dalla grande capacità espressiva come Mirko Frezza, Giorgio Colangeli, Pietro De Silva, Lucia Batassa e attori che non hanno bisogno di parlare per trasmettere sensazioni ed emozioni, cosa pensate al riguardo? E come è stato dirigerne il lavoro

Poter lavorare con attori del calibro di Colangeli, di De Silva, di Covatta al debutto è un privilegio.

Mirko Frezza è una “bestia”, sa ascoltare, gli bastano poche parole e fa tutto suo, fa tutto giusto e sa essere davvero molto intenso. Credo che a lui sia piaciuto interpretare questo ruolo e credo gli sia piaciuta l’atmosfera che c’era sul set. È Bello lavorare con lui e sa anche dispensare consigli preziosi.

Giorgio oltre alla bravura e alla professionalità, porta sul set calma e saggezza. È paziente, coinvolgente, cordiale con tutti. Ho preso davvero tanto da lui in questa esperienza. Non solo in termini di interpretazione

Pietro è un genio, a lui non dicevamo niente, lui segue il suo istinto, ha dei tempi pazzeschi, nella pause, nel cadenzare una battuta e renderla comica, nelle espressioni. Ne sono rimasto affascinato.

Vorrei spendere due parole anche su Francesco Biscione. Avevamo necessità di un villain fortemente caratterizzato. Il suo modo di essere attore, di vivere la scena, ci ha colpito tanto fin dalla fase di casting, per poi travolgerci con la sua capacità di entrare nel personaggio.

Nella pellicola, a parte il dramma personale di Golia, avete voluto inserire anche la realtà che spesso occupa le cronache con storie di personale sanitario poco professionale o addirittura violento con pazienti e di strutture non sempre adeguate a seguirli. Avete voluto dare voce anche a questa problematica?

Non direttamente, per quanto coscienti che realtà e dinamiche del genere siano tutt’oggi verificabili. Amiamo le critiche indirette, lasciando spazio allo spettatore.

La storia, per veridicità narrativa e per profondità emozionale è ambientata nei primi anni 90’ prima della consacrazione definitiva della legge Basaglia del ’78 che sanciva tra i suoi vari attuativi evolutivi la chiusura dei manicomi in Italia; inoltre non esistevano le RSA (residenze sanitarie assistenziali), introdotte anche loro nel’88 ma sviluppatosi a partire dalla metà degli anni 90.

I malati con disturbi dello spettro cognitivo finivano quindi negli ultimi manicomi aperti e se benestanti potevano ambire, a fronte di una cospicua retta, ad essere accettati in una delle tante case di riposo, che dietro un involucro di pregio e lusso celavano per contrapposizione una scarsa capacità assistenziale dell’ospite, il più delle volte intrattenendolo con semplici e risolutivi strumenti di sedazione, demolendone la dignità dell’individuo.

Nella storia si respira aria di libertà e di riscatto sociale, sbaglio

Come detto Golia non è solo la storia che racconta, ma tutta la vicenda è costellata da un forte compendio allegorico. Ma ci siamo ripromessi di non parlarne e di lasciare semmai allo spettatore l’interpretazione trasversale che si cela dietro Golia, la Dottoressa e tutti i personaggi che convivono in questa struttura che diventa una sorta di stato a sé, con le sue leggi, con i suoi padroni, con i suoi oppositori e i propri simboli.

goliaGolia sembra un’allegoria della vita per diversi aspetti. Mostruosamente gigante ma buono, ex sportivo di successo ormai dimenticato, fisicamente dotato ma anche delicato come un bambino… Che cosa rappresenta questo personaggio?

Avevamo bisogno di generare un effetto di contrasto per permettere alle emozioni e alla storia di arrivare con un certo impatto e suscitando una certa elasticità emozionale. Da questo assunto la volontà di mostrare un personaggio “Bud Spenceriano” all’apparenza indistruttibile, messo a tratti in ginocchio da una malattia invalidante a cui tenta di opporre un’atavica resistenza. E al tempo stesso è stato necessario mostrare con un approccio archetipale, il ciclo di gloria e decadenza, sociale ed affettiva, di un individuo in cui facilmente ci si può immedesimare o perlomeno che si può identificare in persone a noi vicine.

E l’anziano professore paraplegico che cerca, ahimè senza riuscirci fino in fondo da solo, di aiutare e di restituire dignità a Golia? Perché gli avete dato un ruolo così importante nella storia?
Dico solo una cosa, siamo veramente sicuri che Golia sia il vero protagonista di questa storia?

Mi ha colpito il personaggio del pianista che, pur sembrando una comparsa, in realtà occupa in modo potente tutte le scene girate nel salone perché suona continuamente il pianoforte diventando la colonna sonora “live” del film.

Come mi ha colpito la signora che balla continuamente con il nastro. Loro due, insieme al professore che trova una sua chiave molto particolare per reagire al suo stato, sembrano essere gli unici ospiti davvero felici, concentrati più o meno consapevolmente nelle loro attività creative. Sembrano testimoniare che solo con l’arte ci si salva dalla solitudine.

È anche questo il messaggio che volevate comunicare con la sceneggiatura?

La scelta di una colonna sonora intradiegetica ha permesso una migliore coibentazione onirica della storia. Il pianista in scena è il vero compositore delle musiche del film ed è nella realtà cieco dalla nascita: una delle esperienze più belle e inclusive nell’avventura realizzativa di questa opera è quella di aver creduto e fatto comporre la colonna sonora del film, definita altresì “composizione per immagini” da una persona che con le immagini non ha un buon rapporto.

Per ritornare sulla domanda, non crediamo sia la loro arte a tenerli sospesi in un mondo piacevole, ma credo purtroppo che sia invece la loro incapacità di rendersi completamente consapevoli di quello che li circonda. Questa cecità in ambito simbolico, così come il danzare continuo, possono essere il salvacondotto per una sopravvivenza fisica avvenire per scelta.

Spero che questa chiacchierata abbia incuriosito i lettori e li spinga a vedere un film diverso dal solito, pieno di contenuti, ben scritto e girato ed interpretato egregiamente.

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