“C’è un morto giù in cantina”

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Scritto e diretto da Salvatore Scirè
con Marina Vitolo e Stefano Scaramuzzino, Vittorio Aliotta, Vittorio Apàro, Barbara Capotondi, Laura Giannotta, Fabio Orlandi, Claudio Piano, Ezio Provaroni, Barbara Russo.

Aiuto regia e movimenti coreografici di Marianna Aragona
Luci e fonica: Danilo Sabelli

La storia è ambientata in una località del sud Italia, dove moglie e marito vedono ripetersi strani e misteriosi fenomeni nella loro casa.

La donna è fortemente scettica, il marito invece è superstizioso e credulone, ed ipotizza che il responsabile dei fatti sia un’entità soprannaturale, un “monaciello”, che nella tradizione napoletana è uno spiritello, un fantasma.

Organizza quindi una seduta spiritica chiamando una singolare medium.

L’entità che appare rivela di essere il nonno della governante della casa, una giovane ragazza rimasta orfana di entrambi i genitori.

Attorno ai menzionati personaggi si affiancheranno altre figure singolari: oltre alla medium, la nobile marchesa vicina di casa, il sindaco della cittadina, un maresciallo dei Carabinieri, il parroco, il postino e infine l’elettrauto di fiducia.

La commedia, improntata sul buon umore, sviluppa una storia che durante il suo corso chiarirà tutti i misteri…

Il testo tratta con ironia e leggerezza il tema dell’aldilà rappresentandolo in modo molto naturale e spontaneo, con l’intento di alleggerire la tematica divertendo lo spettatore e non disdegnando qualche spunto di riflessione.

Il numeroso cast funziona bene e dà vita a una pièce spiritosa, scorrevole, dai ritmi non troppo serrati ma divertente, adatta a un pubblico avanti con l’età. La storia, la comicità, i personaggi, le battute, lo stesso linguaggio sono retaggio di una comicità passata, ma che ha fatto la storia della commedia italiana vecchio stampo.

Scirè ripropone a distanza di tempo questa commedia con un cast rinnovato di ben dieci attori. Credo che il testo andrebbe rivisto, attualizzato nello stile linguistico, riadattato per attirare un pubblico più giovane e farlo così avvicinare al gusto delle commedie del passato che non andrebbero dimenticate. Alleggerirei anche qualche scena perché le due intense ore di spettacolo creano qualche inevitabile rallentamento e ridondanza. Lavoro sicuramente sia della regia di Scirè che dell’aiuto regia di Aragona, non facile, considerata la complessità della struttura testuale con i dialoghi ricchi e articolati che testimoniano l’attenzione nella stesura. Si percepisce la passione profusa nel portare in scena questa proposta senza lasciare nulla al caso.

I personaggi sono divertenti e rimandano inevitabilmente alla classica commedia italiana partenopea. C’è stata una particolare cura nella scelta del cast per realizzare uno spettacolo così complesso.

Oltre al protagonista principale spiccatamente romano, tutti gli altri hanno un forte accento partenopeo, calabrese e siciliano per rappresentare in modo più credibile la credulità nei confronti dei fenomeni paranormali.

Il caporione è Stefano Scaramuzzino, su cui grava gran parte del peso dello spettacolo in quanto protagonista. Simpatico collezionatore di insetti, ci presenta un personaggio fortemente caricaturale che sa ben vestire senza prendere troppo le forme della scontata macchietta.

morto in cantinaCapolavoro comico è sicuramente la medium, interpretata divinamente da una Marina Vitolo in forma che porta avanti il suo personaggio dal cuore napoletano a suon di continui strafalcioni, attraverso atteggiamenti divertentissimi.

Barbara Russo è un’altra perla nella veste di una cameriera che ricorda per atteggiamenti e vestiario l’Olivia di Braccio di ferro, ma in versione partenopea. Figura dolcissima e tenerissima con i suoi occhialoni neri. Spigliata, divertente e prorompente, nel finale si trasformerà inaspettatamente in una silfide dalla spiccata femminilità tenuta nascosta per tutta la storia.

Barbara Capotondi spicca invece nei panni di una marchesa vicina di casa della coppia, sviscera un’infinita e continua gamma di espressioni che valorizzano e caratterizzano il suo prorompente personaggio facendolo spiccare sempre, anche quando non è direttamente coinvolta in scena.

Nonostante faccia brevi apparizioni, lascia il segno anche Vittorio Aparò, che dà vita ad un classico carabiniere meridionale rubato alle barzellette; divertente e frizzante, è perfetto anche scenicamente con la sua particolare fisicità.

Claudio Piano è l’elettrauto di fiducia; anche lui compare fugacemente, ma risulta incisivo nelle sue brevi apparizioni.

Vittorio Aliotta è invece nel doppio ruolo di un sindaco particolarmente misurato e riflessivo ma bislacco e di un buffissimo e miopissimo portalettere.

Laura Giannotta è l’avvenente moglie del protagonista che nasconde, tra una battuta e l’altra, la sua doppia vita.

Poi c’è Ezio Provaroni nei panni di un riuscito caratteristico, esuberante parroco e moderatamente burbero, ligio alle regole ecclesiastiche. Infine c’è Fabio Orlandi nei panni di un etereo, affascinante e romantico fantasma anche lui dallo spiccato accento partenopeo, a cui la regia crea una sorta di aurea magica durante ogni sua apparizione, sottolineandone i passaggi che lui sa ben sfruttare.

Una leggera e simpatica proposta

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