“MK-Ultra”

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Teatro Antigone
Di e con Carlotta Micol De Palma
E con Jacopo Siccardi
Regia di Alice Viglioglia e Carlotta Micol De Palma
Musiche di Chiara Effe
Scenografie di Giorgio Cecconi

Ho avuto modo di apprezzare Carlotta Micol De Palma, qualche anno fa, al “Festival dei nuovi tragici” organizzato da Pietro De Silva; la trovai molto divertente, spiritosa e strepitosa. Piccolina, capelli rossi come il fuoco, due occhi smeraldo scintillanti; si muoveva ed aveva delle espressioni davvero divertenti; una carica esplosiva invidiabile sul palco. Le corsi dietro a fine spettacolo per conoscerla e farle i miei complimenti. Dopo tanto tempo finalmente ho l’occasione di rivederla in scena con una proposta che si discosta drasticamente da quella passata.

Essendo un appassionato di storia, il tema trattato mi alletta particolarmente perché ispirato a fatti realmente accaduti. A fine articolo, chi fosse interessato all’approfondimento dell’argomento storico, troverà maggiori dettagli.

Lo spettacolo.

Entriamo in platea, loro sono già in scena. In sottofondo una voce monotona ripete sempre la stessa frase: “Quello che vedrete è frutto di fantasia…”. È talmente ripetitiva ed ossessiva come fosse un lavaggio del cervello da spingermi a credere esattamente il contrario.

Il Teatro Antigone si presta bene per questa proposta: per accedere alla platea si scendono delle ripide scale, tra corridoi stretti e stanze buie; è come arrivare nell’anticamera di un inferno privato, quello di Carlotta. Non è popolato da demoni ma da due dannati, dimenticati in un limbo etereo e surreale, scenograficamente realizzato da un cubo di assi di metallo per scaffalature freddo, grigio, robusto ma sottile, quasi impalpabile e insidioso.

È un rifugio, una tana, un nascondiglio: sporco, sciatto, buio, arredato con mobilia decrepita, stracci e pochi effetti personali sparsi intorno, sacchi logori con qualcosa da mangiare, sempre troppo poco.

Carlotta e Jacopo sono due amici, Gynaika e Zoo, sopravvissuti a un tiranno di un nuovo mondo futuro. Si nascondono per sopravvivere clandestinamente affrontando i pericoli che la nuova realtà gli impone. L’obbligata convivenza li ha legati profondamente. Affronteranno momenti difficili ma anche più leggeri che la sceneggiatura ha voluto inserire, sviluppando al contempo una profonda e provocatoria riflessione sul rapporto che lega l’uomo all’animale, dimostrando che lo spirito di sopravvivenza è uguale per ogni specie. I protagonisti dovranno infatti fare i conti proprio con questo, abbrutiti e ridotti ad uno stato bestiale.

Lui vuole proteggerla da ciò che c’è fuori, esce solo per procurare il cibo per entrambi e rimediare qualcosa che possa allietarla. Lei vorrebbe lasciare questo luogo, ma sembra non riuscirci con le sue sole forze, mentre Zoo cerca costantemente di farla desistere dall’ idea per le insidie e i pericoli che popolano il “di fuori”. Di fatto lei è una reclusa, un animale in gabbia sull’orlo di una crisi.

Chiara intanto è fuori scena, seminascosta in una specie di nicchia, e accompagna la storia con la sua melodiosa voce e la sua loop station. Riempie l’atmosfera di suoni e vocalizzi sempre più pesanti ed opprimenti. Con singolari gorgheggi, come fosse un orologio a lancette, scandisce il tempo rendendolo infinito, lento e pesante, rendendo l’idea di una lunga ed interminabile prigionia. L’effetto delle luci fa il resto.

I due si trasformano sempre più in topi cacciati da un nemico potente che non vedremo mai, ma che li condiziona pesantemente. La sua presenza si sente, scivola giù viscida dalle pareti attraverso il buio che ingoia ed intrappola anche lo spettatore. Zoo esce, Gynaika no. La sta proteggendo così, e comincia ad amarla, a suo modo. Questi Adamo ed Eva del futuro sembrano gli ultimi esseri esistenti, non a caso il nome di lei proviene dal greco e significa pressappoco “donna”. Ma l’idillio si incrina, forse per la convivenza forzata, la mancanza di libertà e di scelta…

Questa routine è ben rappresentata da una bella e suggestiva trovata registica che ricrea sulla scena un loop sempre più veloce in cui i protagonisti vorticosamente girano intorno alle loro poche e ripetitive azioni quotidiane come criceti su una ruota senza fine; lei appare sempre più triste, spenta, amorfa; lui invece sempre più egoista scostante, distratto, volubile, violento. Sta cambiando qualcosa… Scenografia, luci, suoni sono impeccabili e perfettamente sincronizati con gli eventi e l’ambiente. Tutto è studiato per mettere a disagio lo spettatore, per fargli provare angoscia, un senso di claustrofobico soffocamento così coinvolgente che quasi sembra di assaporare quei cibi insipidi sulla tavola, di sentire l’odore dello sporco, della muffa, di riuscire a vedere quei topi che lei scaccia e che sembrano solo una proiezione della sua mente, una materializzazione delle sue angosce più profonde.

Ecco allora arrivare la parte animale dell’uomo, che gli consente di adattarsi per sopravvivere attraverso l’aggressione e la difesa. Vedendo la donna lontana, distaccata, sempre più chiusa, lui si trasforma in bestia, in cacciatore, in predatore. Si avventa addosso a quella che ormai è divenuta la sua preda. Ecco la trasformazione, il passaggio: il tiranno che li cercava è riuscito nel suo intento, quello di dominare le loro menti e di soggiogarli. Ma ci si chiede: gli altri dove sono? Possibile che siano rimasti gli unici esseri umani?

Pian piano si fanno strada le risposte che, grazie ad un’avvincente sceneggiatura, arrivano a piccole dosi, subdolamente. Si cominciano a capire queste strane dinamiche. E se lei fosse prigioniera di sé stessa? Coercizzata da un volere supremo? Perché non fugge? Perché non si ribella? E lui? Perché sparisce e la lascia spesso sola in preda alle sue paure? Solitudine, paura, rabbia, dolore, sofferenza, incomprensione, amore e tanti sentimenti distorti… Il vortice di emozioni cattura lo spettatore, lo ammalia, lo corrompe, lo violenta. Diveniamo come quei mobili sulla scena, logori, cadenti ed inanimati. Quell’atmosfera disgustante ci ha reso impotenti testimoni passivi del volgere degli eventi.

Forse è solo una messinscena, in pericolo non sono i protagonisti, ma solo le loro menti. La prigione è fittizia, è una gabbia per la psiche, una trappola in cui lei è caduta. Con la scusa di amarla, lui la tiene relegata al suo interno riportando inevitabilmente alla mente fatti di cronaca con quegli uomini padroni che soggiogano le donne e le imbrigliano attraverso i sensi di colpa o la paura, facendole loro schiave.

Qui non c’è un nemico esterno, qui l’unico nemico è interiore, subdolo, traditore ed infimo. È la mente.

L’epilogo è inaspettato, impensabile, arriva insinuandosi amaramente, svelandosi con dolce crudeltà.

Che dire di questa coppia? Gesti, espressioni, emozioni arrivano diretti, coinvolgono e catturano come in una ragnatela, lasciando ammutoliti. La doppia perversa personalità che Jacopo esprime lascia basiti; la dolcezza, la paura e la rassegnazione di Carlotta danno il colpo di grazia. I cambiamenti di umore, il lento progredire verso questo baratro si legge sui volti. Riescono, attraverso la loro recitazione, a portarci per mano in questa paradossale realtà. Lei diviene una bambola di pezza amorfa con lo sguardo perso, tradita; lui, dalla posizione di aguzzino, frana in quella di debole ed insicuro meschino dittatore di menti. Entrambi vittime di un sistema più grande di loro, entrambi vittime dell’ aberrazione umana e di questo progetto MK Ultra. Una bella idea per proporre un fatto storico con originalità e fantasia inserendo l’imprevisto dell’amore, un istinto tutto umano che mette i bastoni tra le ruote a questa distorta scienza.

Cenni storici

Nel 1953 il direttore della CIA Allen Welsh Dulles avviò un particolare programma di ricerca denominato MK Ultra. Si trattava di esperimenti atti a controllare la mente, utilizzando anche farmaci e sostanze psicotrope. Il programma era illegale, fu ridimensionato nel 1964 e definitivamente interrotto nel 1973.

Furono usati per gli esperimenti inconsapevoli cittadini statunitensi e canadesi. Il progetto all’inizio venne chiamato Project Blue Bird, poi Project Artichocke, infine denominato MK Ultra prendendo nome da un progetto analogo attuato dai nazisti, il Mind Kontrolle Ultra. Lo scopo degli americani era di contrastare gli studi russi in atto durante la guerra fredda atti a manipolare la psiche delle persone creando degli assassini inconsapevoli, oppure per controllare determinati leader stranieri. In questo progetto erano inseriti i più grandi scienziati criminali di guerra nazisti “ripuliti” o più correttamente denazificati attraverso l’operazione Paperclip, che “salvò” circa 1.600 tra scienziati, ingegneri e tecnici tedeschi riutilizzati durante la Guerra fredda e per la corsa allo spazio. La Russia non da meno attuò un’operazione analoga denominata Osoaviakhim aggiudicandosi circa 2.200 specialisti germanici.

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