“Rosencrantz e Guildenstern sono morti”

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TEATROVID-19 il teatro ai tempi del Corona (verso la fine della pandemia? Ma intanto i contagi aumentato di nuovo…)

Teatro 7 Off

Di Tom Stoppard

adattamento di Luca Basile, Ilario Crudetti e Marco Simeoli

regia di Marco Simeoli, aiuto regia Cristiano Arsì

con Luca Basile, Ilario Crudetti, Lara Balbo, Alessandro Catalucci, Igor Petrotto.

Questi nomi, per noi impronunciabili, rispondono a due personaggi “minori” dell’Amleto. Sono amici d’infanzia del principe che, loro malgrado, diventano spie del re Claudio, suo zio, che ha ucciso il padre per usurpare il trono del regno di Danimarca e che ora vuole controllare il nipote.

Rosencrantz e Guildenstern partiranno con Amleto per la Gran Bretagna portando con loro una lettera che contiene l’ordine di decapitarlo. Amleto, scaltro, cambierà il contenuto della lettera che condannerà invece i due a quella che avrebbe dovuto essere la sua sorte. Nel viaggio saranno assaliti dai pirati e, mentre Amleto riuscirà a tornare in Danimarca, i due andranno incontro alla loro fine.

Il titolo “Rosencrantz e Guildenstern sono morti” è preso da una frase che pronuncia un’ ambasciatore nell’ultima scena della tragedia di Shakespeare.

Tom Stoppard sceglie di far diventare i due i personaggi del dramma protagonisti, proponendoli in versione “teatro dell’assurdo”. Confusi ed inconsapevoli del ruolo, sono travolti ingenuamente dal loro ineluttabile destino. La storia viene proposta in un avvicendarsi di follia ed ironia, tipica di questa forma di teatro, che non può non riportare alla mente quella paradossale di Samuel Beckett. Anche qui, infatti, c’è sempre una punta di riuscitissima ironia, anzi molta di più, ben amalgamata con il paradosso del dramma. Interessante e riuscita l’idea di far diventare protagonisti questi due personaggi secondari. Per chi conosce il dramma shakespiriano, è come se la storia dei due si svolgesse parallelamente a quella di Amleto. Viene raccontata la loro vita facendo emergere i caratteri e i modi di pensare. Un po’ come avviene nelle ormai diffuse fiction a puntate proposte dalle varie piattaforme televisive a pagamento: quando una serie ha successo, per trattenere il pubblico si propone subito una serie parallela, un sequel o un prequel, andando a scovare i personaggi più riusciti per raccontarne la vita e le avventure, inglobandole nella serie per fidelizzare il pubblico.

Tom Stoppard nel 1964 è un inconsapevole precursore ed anticipatore di tutto questo. Dare spazio ai due soggetti è voler arricchire quello che già sappiamo del dramma di Amleto, completarlo. Così possiamo conoscere meglio Rosencrantz e Guildenstern, averli in primo piano e non come semplici satelliti che orbitano intorno al pianeta Amleto.

I nostri due sono rappresentati in maniera intelligente ed ironica, sotto forma di un Gianni e Pinotto del XVI secolo, una versione di Didi e Gogò (Vladimir ed Estragon), la coppia di “Aspettando Godot”, a cui la sceneggiatura ammicca sorridente.

Anche loro si vogliono bene, si proteggono, si spalleggiano e sono ammantati di quel romanticismo, ma anche di quella comicità della coppia di Godot che, nonostante i dialoghi assurdi, funziona e fa sorridere. Stoppard partorisce due soggetti piacevoli, forse un po’ infantili, bonaccioni, ingenui ma veri, palpabili e teneri. Entrambi sono due ottimi veicoli per trasportarci nel viaggio attraverso il teatro dell’assurdo. Lo fanno teneramente, prendendoci per mano senza provocare i “traumi” che l’impatto con questo genere arreca allo spettatore poco preparato. Credo anzi che lo spettacolo si collochi in quella “via di mezzo” che consente al pubblico di avvicinarsi a questa forma di teatro.

I nostri spesso irrompono nella scena. Bellissimo l’inizio, quando Lara ed Alessandro da una porta laterale della sala sfondano letteralmente la quarta parete nei panni di due saltimbanchi, stravolgendo quell’ordine atavico tra platea e palco. In sala si accendono le luci, con gli attori che girano tra le poltrone, cosicché anche lo spettatore, reso partecipe, viene inghiottito dalla storia. Ilario e Luca, nella parte di questi personaggi sono semplicemente eccezionali. Sembrano legati da un cordone ombelicale inscindibile, si muovono all’unisono, sembrano una stessa persona sdoppiata da un dolce conflitto interno. Giocano, scherzano, discutono e amabilmente fanno affezionare il pubblico a loro dopo poche battute. Si dimentica quasi il loro dramma, perdendosi dietro alla loro genuinità. La mimica, l’ironia, la gestualità sembrano studiate al millimetro, costruite così bene a tavolino da sembrare spontanee. Sono perfetti, come due gemelli legati da magia e passione. Bravissimo Alessandro che, pur proponendo diversi personaggi, riesce a personalizzarli tutti in una maniera fantastica che lascia a bocca aperta per il suo essere istrionico ed eclettico. È più di un attore, è un mago dell’illusione che però riesce a materializzare i suoi personaggi, rendendoli buffi e al contempo reali, concreti, anche se si muovono al limite del paradossale. Alessandro riesce a mantenerli in equilibrio senza mai farli cadere nel ridicolo. È un funambolo dell’interpretazione, uno stregone che ci ammalia con le sue doti incantatorie. Bravissima anche Lara, l’unica interprete femminile della serata. Dolce, afflitta, impaurita, addolorata… Qualsiasi sentimento lo trasmette con una profonda espressività e con la sua voce. Raggiunge il suo apice in un assolo, un bellissimo ed intenso struggente monologo. Positivamente “scioccante” è invece la versione siciliana di Amleto, impersonato da un travolgente Igor che si muove con una parvenza di pazzia, partorita dal sospetto di quello che gli sta succedendo attorno, una specie di scudo protettivo. Tradito da parenti ed amici, è in bilico tra il profondo dolore e l’inevitabile pazzia, o forse sceglie di nascondersi con scaltrezza dietro ad essa per addolcire il dolore del tradimento da parte degli affetti e della vita.

Deliziosa la scena quando i due saltimbanchi Lara ed Alessandro incontrano i protagonisti che rimandano inevitabilmente, con i loro discorsi, a quell’incontro al crocevia di “Aspettando Godot”. Non a caso si erge sulla scena, dietro un velo nero che la divide e che vuole forse rappresentare il sospetto, l’intrigo, le cose nascoste o i non detti, un albero in versione astratta ma riconoscibilissimo nel suo forte richiamo a Beckett. Neanche a farlo apposta, Ilario è reduce proprio da questo spettacolo… Luca era veramente tanto, troppo tempo che non lo vedevo su un palco, ma soprattutto non in una veste così importante e allo stesso tempo così ironica. Mi mancava questo suo lato artistico, nonostante lo abbia visto decine di volte in azione. È stato in grado di liberare tutto l’estro e le capacità in sincronia con Ilario, anche lui mia vecchia ed apprezzata conoscenza. Uno sposalizio artistico vincente.

Non mi stancherò mai di dire quanto è stata bella questa serata. Un cast veramente degno di nota, che ogni regia vorrebbe avere. Ammaliante e onirica la scenografia, stupendo il carretto che i due saltimbanchi si portano dietro come fosse una casa, un fardello della loro esistenza.

A proposito di regia, il tocco è di Marco Simeoli, coadiuvato da Cristiano Arsì che da maestro riconoscibile è il demiurgo di questa rappresentazione onirica. Uno spettacolo bello da vedere, bello da vivere e bello anche da ascoltare grazie anche alle musiche ed ai suoni, oltre che alle voci dei nostri attori, colonne sonore che accarezzano piacevolmente le orecchie. La loro recitazione è un saliscendi continuo di tonalità di voce che cambiano a seconda dei momenti o dei personaggi e che ne sottolineano efficacemente gli umori e gli stati d’animo. Uno spettacolo che non sa cosa sia la monotonia, che sorprende e stupisce, rapisce, affascina, diverte. Nato da una perfetta sinergia tra chi è sul palco e chi, nascosto e distante, vi ha lavorato dietro. Azzeccata l’idea di non fare un intervallo per non spezzare la tensione e per non rompere quell’atmosfera sublime creata. Si esce contenti dal teatro, divertiti e soddisfatti, con la consapevolezza di aver visto qualcosa di notevolmente al di sopra della media, diverso dal solito, ricco di inventiva, di idee, di sorprese. Divertente il lancio dell’acqua sui nostri due per ricreare la tempesta quando navigano verso l’Inghilterra. Il pubblico è rimasto contento ed ha applaudito più volte durante le scene. Molti i personaggi dello spettacolo presenti in sala, che si sono profusi in mille elogi verso gli attori e la regia a fine serata. È difficile riuscire ad ammaliare il pubblico e a farlo divertire, mantenendolo allo stesso tempo attento e concentrato su dialoghi così assurdi e particolari. Nonostante tutto, non ci si perde mai dietro alla trama bizzarra, che conquista lo spettatore grazie all’ indiscutibile interpretazione che ha incantato ed affascinato i presenti.

Oltre a quello che sembra un elogio senza fine e un panegirico nei confronti di tutti costoro, è giusto anche fare un’osservazione critica, che anche se piuttosto pignola, credo sia corretta, anche perché è attraverso osservazioni costruttive che si può crescere e dare ancora di più a se stessi e al pubblico. Mi riferisco ai costumi.

Quelli usati in scena sono un chiaro riferimento al ‘500 europeo. Ho notato la finezza di alcuni attori che indossavano scarpe senza tacco, proprio come nella moda del tempo, ma non posso dire lo stesso dei cappelli. Questa è un’amara eredità del cinema hollywoodiano, che vuole l’attore sempre a capo scoperto perché così più visibile nel volto alla macchina da presa. Questa “cultura”, anzi sottocultura cinematografica ben lontana dalla nostra storia, in fin dei conti la svilisce, non ritiene importante quanto un copricapo connoti il personaggio che lo indossa. Ogni iconografia dell’epoca conferma quanto dico. Da spettatore, ma soprattutto da amante della storia e da rievocatore storico di questo periodo, non posso non fare questa giusta osservazione mirata a spingere costumisti, sceneggiatori, registi a proporre la massima attenzione filologica quando si tratta di affrontare un tema storico. Un attore si sente ancora più credibile e nei “panni” di un personaggio, quando è storicamente ineccepibile, con un costume realistico e storico. Questo è l’unico appunto, o meglio un invito che colgo l’occasione, anzi l’opportunità di fare, che estendo a tutto il panorama artistico. Credo sia giusto proporre al pubblico anche questo dimenticato e snobbato lato della parte storica e culturale che appartiene alle nostre radici e che riguarda il costume.

Spettacolo stupendo!

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