L’impresa riformista di Antonio Calabrò

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L’Italia ha bisogno di un partito degli imprenditori, come sembra oggi suggerire qualcuno?

No, non di uno specifico partito degli imprenditori. Ha bisogno semmai che partiti e governo tengano in grandissimo conto le indicazioni che vengono dal mondo delle imprese, i loro valori, le loro proposte per lo sviluppo sostenibile del Paese.

“C’è stato un tempo in cui s’era fatta strada, anche in Italia, l’idea che l’imprenditore fosse il miglior interprete della politica, che il successo imprenditoriale fosse viatico di una affermazione politica e di gover- no d’altrettanto peso. E che un paese potesse essere governato come un’impresa. Storia e cronaca hanno disvelato l’illusione. Anche altro- ve, si nutrono pensieri analoghi. Sul loro successo, in Italia ma anche negli Usa delle fulminanti carriere di Michael Bloomberg e soprattutto di Donald Trump, il dibattito è aperto. L’imprenditore, naturalmente, può far bene politica. Mettere le sue competenze al servizio del paese, fare valere positivamente conoscenze ed esperienze. Come ogni cittadino. Senza una condizione privilegiata in più. E senza pretendere che la cultura d’impresa dell’efficienza sia la strada maestra per affronta- re e risolvere la complessità dei problemi sociali e politici. La politica ha bisogno della buona cultura d’impresa. Ma la cultura d’impresa non esaurisce la politica.

Non è di questo, però, che qui si parla. «L’impresa riformista» non ha ambizioni di governo. Non è forza di maggioranza né organismo d’opposizione. Gioca semmai sul terreno della politica come strumento della polis. Lavora sulle condizioni della cittadinanza. È agente culturale e sociale dei cambiamenti. Tutt’altro ambito rispetto alla politica «politicante».

Come sta l’Italia del 2019?
L’economia rallenta, la recessione in corso preoccupa famiglie e imprese, c’è un clima generale di scarsa fiducia che blocca gli investimenti, sia interni che dall’estero. Servirebbe una politica economica che stimola gli investimenti e l’innovazione e la crescita dell’Italia sui mercati del mondo; invece il governo distribuisce soldi a pioggia per assistenza e pensioni. Tutto sbagliato.

Qual è non il problema, ma la risorsa più importante in Italia?
L’intelligenza e l’intraprendenza degli imprenditori, la creatività di molti ragazzi, la qualità di parecchie scuole e università, la generosità di enti locali, privati e associazioni che lavorano per l’inclusione sociale

Cosa si può fare per frenare la fuga dei cervelli, la mancata valorizzazione delle donne e dei laureati, come lei stesso ci racconta nel libro?
Investire sull’innovazione, la ricerca, la creatività. E favorire il rinnovamento delle imprese per migliorare la qualità del lavoro, premiando merito e competenze. Ecco un punto chiave: sottolineare l’importanza della competenza e della cultura, valori oggi purtroppo disprezzati da parte larga dell’opinione pubblica

Ci sono speranze per l’Italia di veder tornare una mobilità sociale ormai perduta?
Certo. L’impresa riformista di cui si parla tanto nel libro è il miglior ascensore sociale, il più efficiente che ci sia nel paese: offre lavoro qualificato, opportunità di crescita, occasioni per fare valere quello che si sa e che si sa fare. L’impresa innovativa è uno straordinario motore di promozione e di inclusione sociale. Ecco perché va ascoltata e valorizzata. Altro che “prenditori”, come dice certa cattiva propaganda. Gli imprenditori italiani sono persone serie.

Cosa consiglierebbe a un giovane laureato/a italiano? Di restare o di andarsene?
Studiare bene nelle nostre università, fare esperienza all’estero e poi usare tutte le opportunità per farsi valere in Italia, contribuendo allo sviluppo sostenibile del nostro Paese

Uno studio recente ha messo in luce che la percentuale di psicopatici all’interno delle organizzazioni finanziarie è di molto superiore alla media; l’ipotesi che si formula nello studio è che il crollo del 2008 sia dovuto alla totale assenza di empatia dei grandi manager. Lei nel libro fa un elogio della gentilezza. Ci spiega perché?
In tempi di volgarità crescente e di diffusa violenza verbale (e non solo) in troppi ambienti sociali, subiamo un peggioramento della qualità della vita e del lavoro. Ecco perché insistere sull’educazione, la gentilezza, il rispetto delle persone: per ricostruire un clima civile di relazioni personali, sociali, professionali. Un sorriso, una buona musica, una poesia, un gesto gestile, per vivere tutti un po’ meglio.

L’autore: Antonio Calabrò (1950) è direttore della Fondazione Pirelli, vicepresidente di Assolombarda e membro dei board di numerose istituzioni e società (Università Milano Bicocca, Nomisma, Touring Club, Orchestra Verdi, Centro per la cultura d’impresa, UniCredit Lombardia, Fondazione Unipolis ecc). Giornalista e scrittore, ha lavorato a L’Ora, Il Mondo, la Repubblica, è stato direttore editoriale del gruppo Il Sole24Ore e ha diretto La Lettera finanziaria e l’agenzia di stampa ApCom. Tra i suoi ultimi libri, Orgoglio industriale, Cuore di cactus, La morale del tornio, I mille morti di Palermo. Insegna all’Università Cattolica di Milano.

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Il Gruppo ViviRoma fondato da Massimo Marino nel 1988, nasce come giornale murale per ampliarsi nel tempo in un magazine, TV e WEB.

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