“Fiori di campo”

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TEATROVID-19 Il teatro ai tempi del Corona e oltre (autunno, mascherine chirurgiche e influenze varie)

Teatro Garbatella
Scritto e diretto da Siddharta Prestinari.

Con Alessandra Berton, Alberto Bognanni, Caterina Gramaglia, Manfredi Gelmetti, Marco Giandomenico, Paolo Perinelli, Giada Prandi.

Due mondi paralleli: quello dei vivi e dei morti si incontrano, si sfiorano, si toccano, ma solo attraverso le emozioni.

Siamo alle soglie del primo novembre, la festa di Halloween e dei morti; il clima è giusto per entrare in contatto con questa dimensione. Ognuno a modo suo, come i sette protagonisti, vive il suo dolore; sia che compianga un caro defunto, sia che si addolori per la vita che ha lasciato e per i suoi affetti mentre vede che lo rimpiangono lì, davanti alla sua sepoltura. Così, il cimitero diviene un luogo di incontro con le anime dei nostri estinti, ma anche con quella parte della nostra anima più profonda e recondita, dove custodiamo il dolore e al contempo saggiamo l’ineluttabilità della nostra futura fine.

Come marionette di un carillon, i nostri appaiono sul palco, sia i vivi che i morti, agendo contro la loro volontà, come ipnotizzati, soggiogati da una forza più grande che li muove a suo piacimento. Siddartha, con la sua sensibilità artistica e femminile, ha voluto dare loro voce, scavando intanto anche in ognuno di noi per far riemergere le paure e le sofferenze. Ma lo ha fatto con poesia. In questo mondo parallelo i morti e i vivi si parlano ma non si ascoltano; sembra di assistere più a uno sfogo interiore, ma almeno in questo modo possono dar voce alla loro parte più profonda e vera. In questo spazio il tempo appare rarefatto, inconsistente; ognuno entra ed esce con una sua storia disegnando “quadri” che si accendono e spengono grazie ad un coinvolgente gioco di luci. Quadri che raccontano storie di vita. La morte, per Siddhartha, è una figura concreta, sempre presente, che fa verso al brano medievale riproposto da Angelo Branduardi “Ballo in fa diesis minore”; anche qui la morte ha una sua personalità e balla. Ha posato la sua falce e danza sulle gambe del bravissimo ed ipnotico attore ballerino Manfredi, al ritmo di un flamenco molto suggestivo fatto solo di ritmo che l’artista crea con lo schioccare delle dita e il veloce battito delle scarpe. La musica è assente, forse a rappresentare il vuoto della morte che riempie con la sua ingombrante presenza. La Grande Mietitrice è vestita con la “Bata de cola” che, come mi ha spiegato la dolcissima e preparata Elisa Fantinel dell’ufficio stampa, è sì un abito femminile, ma oggi viene indossato anche dagli uomini per l’eleganza e la teatralità che dona nel ballo.

La morte si muove, allora, in questa moderna danza macabra con parvenze femminili, sembra lontana per poi riapparire in abiti maschili quando, senza il velo che le copriva il viso, sembra più vicina, più umana, tanto da intrattenersi a parlare con Alberto (lui nei panni di un’anima senza riposo). Tutte idee registiche d’impatto, come la ricostruzione virtuale del cimitero tra lumini, loculi, lapidi, foglie secche e luci soffuse.

La regista sceglie di dare vita ai suoi personaggi facendo interpretare a ciascun attore due ruoli con stati d’animo dissimili, in antitesi, che permettono di mostrare tutto il loro talento. Credo che voglia confonderci: all’inizio ci mette davanti a storie di vita di tutti i giorni, a tratti banali, ma è proprio così che il messaggio si insinua toccando le corde più profonde dello spettatore. È proprio dietro questa quotidiana banalità che si vuole rappresentare l’uomo comune, ravvisabile in quello seduto a teatro stasera, intento a vivere la sua vita senza darle il giusto valore, perdendosi dietro all’ordinarietà senza rendersi conto che prima o poi dovrà tirare le somme della propria esistenza.

Caterina, struggente e penetrante nel ruolo di una madre distrutta dalla perdita del figlio, ci porta per mano con tanto di occhi lucidi sull’orlo della pazzia di questa povera donna, per poi riapparire in un altro “quadro” nei panni di una badante dell’est sciatta, trasandata, ingenua. Logorata e sfruttata dalla vita, ci fa ridere amaramente con le sue sfortune.

Giada dà vita ad una donna antipatica, ferita nell’intimo da un padre assente e ormai scomparso, e ci fa assaporare tutto l’amaro della sua acredine nata dal dolore e dall’invidia per la sua dolcissima sorellastra, impersonata da Alessandra, che invece, attraverso il dolore per la perdita dello stesso padre, è in grado di trasmettere tutto l’amore che ha per quest’ uomo, che con lei è stato presente e amorevole. Alessandra e Giada giocano molto bene con la loro recitazione, trasmettendo i sentimenti dei loro personaggi che arrivano chiari e limpidi alla platea. Giada riapparirà più avanti nei panni di una svampita escort, che man mano che si racconta dimostrerà tutta la sua profondità d’animo, discostandosi nettamente dal precedente personaggio. Alberto, come dicevo, è una simpatica anima che non trova riposo, vaga per le tombe parlando con gli altri “ospiti”, ma il suo si rivela un monologo intriso di solitudine. Sembra essere con il piede in due staffe, sospeso tra la vita e la morte. Lo vedremo relazionarsi proprio con la morte, che forse è venuta per donargli il suo meritato riposo eterno.

Marco, anche lui sembra impegnato in un doppio ruolo, ma solo più tardi capiremo essere il frutto di una suggestione, e ci farà venire la pelle d’oca… Perderà di colpo tutta la sua dolcezza e delicatezza rivelandosi un’altra persona e rompendo quell’ idilliaco quadro in cui c’eravamo persi.

Ad apparire in un unico ruolo è Paolo, che veste i panni di un anziano intento a parlare amabilmente con la moglie defunta e trasmettendo una profonda solitudine mentre la assilla con i suoi acciacchi e i problemi quotidiani. Sarebbe anche una brava persona, se non mostrasse dei risvolti piuttosto discutibili. Pur interpretando un unico ruolo, se facciamo attenzione ci accorgiamo che nasconde una doppia personalità, fastidiosa e deprecabile; seppur inconsapevole, è un egoista sia con la moglie che con la badante (Caterina).

Lo spettacolo è poetico, toccante, ricco di sensibilità, di rispetto per il dolore che arriva potente e realistico. Senza troppi fronzoli, si presenta crudo, diretto, ma sempre ammantato di poesia. Forse non una proposta adatta a tutti, perché la sua profondità arriva, ma solo a chi vuole capirla, saggiarla, entrarci in contatto attraverso i propri sentimenti. Una proposta non scontata, che va letta attraverso le tante sfumature della sceneggiatura. In questo siamo aiutati dagli attori, in grado di entrare con profonda empatia nei loro personaggi con una recitazione emozionante. Un tema difficile, proposto in maniera surreale, eterea, emozionale.

Siddartha ha scelto un modo davvero personale di portare in scena la sua idea del trapasso, facendoci entrare in un mondo mistico e onirico.

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